Black Adam: Dwayne Johnson nei panni del cupo antieroe DC (Recensione)

Black Adam: Dwayne Johnson nei panni del cupo antieroe DC (Recensione)

Senza infamia e senza lode: volendo sintetizzare all’estremo il nuovo film incluso nel DC Extended Universe con Dwayne Johnson nei panni del protagonista, Black Adam, ci si può servire senza alcun problema di questa espressione. Il film diretto dall’esperto Jaume Collet-Serra aveva la pesante aspettativa di dare un futuro ai cinecomic della DC, rispettando il fardello della vigilia e cercando di invertire quella tendenza negativa che aveva riguardato il franchise negli ultimi anni. Sulla base di queste previsioni, il film riesce senza dubbio nei suoi intenti, non offrendo prove estreme e non eccedendo nelle esagerazioni: il tutto, attraverso un impianto sostanzialmente basilare che non dà e non toglie nulla di incredibile, ma sapendo gettare le basi per un futuro che in molti si aspettano essere roseo. A questo punto, dunque, ecco tutto ciò che c’è da sapere relativamente alla recensione del film Black Adam, con Dwayne Johnson nei panni del cupo antieroe protagonista della pellicola.

La trama di Black Adam, il nuovo film del DCEU con Dwayne Johnson nei panni del protagonista

AVVERTENZA PER I LETTORI: qualora non abbiate visto ancora Black Adam al cinema, si consiglia di evitare direttamente questo e il prossimo paragrafo

Nel contesto dell’antica Kahndaq, una città avanzata e nata prima rispetto alla grande civiltà romana, un uomo di nome Teth-Adam riesce ad ottenere i superpoteri dagli Dei (gli stessi che erano stati osservati già in Shazam!, che aveva anticipato parte delle dinamiche poi presentate all’interno del film); in preda alla rabbia per la morte di suo figlio – di cui parlerà nel corso della pellicola – Teth-Adam distruggerà l’intera città di Kahndaq e, per questo, imprigionato dai maghi. Nel presente, all’interno della stessa città, Adrianna pronuncia “Shazam” per sopravvivere ad un agguato del gruppo terroristico che, da 27 anni, devasta la sua città: nel farlo, risveglia Teth-Adam dopo 5000 anni; nonostante l’immenso potere, il protagonista della pellicola si rivela per il suo cuore non puro e, per questo motivo, attira le azioni della Justice Society, composta da Carter Hall / Hawkman, Kent Nelson / Dottor Fate, Maxine Hunkell / Cylone e Al Rothshein / Atom Smasher.

Lo scontro tra le due parti sarà dettato anche dalla presenza di Adrianna e suo figlio, oltre che dall’antagonismo di Ishmael Gregor, che tenterà di recuperare la tanto agognata corona, essendo l’ultimo discendente del re di Kahndaq. A seguito di una serie di peripezie presenti nella pellicola e dopo aver raccontato la sua storia (ha ottenuto i poteri da suo figlio e non dagli Dei, per poi veder morire il figlio stesso tra le sue braccia) Black Adam decide di rinunciare ai suoi poteri ed essere imprigionato. Intanto, però, dopo essersi appropriato della corona – che gli permette di essere il campione dopo la morte – Ishmael rinasce come Sabbac, e mira alla distruzione dell’intero mondo. Dottor Fate, che non aveva visto più nulla nella sua storia (avendo la capacità di vedere nel futuro grazie al suo elmo), decide di sacrificarsi e prendere tempo con Sabbac, oltre che di risvegliare Black Adam, che sconfiggerà Sabbac con l’aiuto di Hawkman. Il protagonista della pellicola rifiuta la sua nomina di campione, ammettendo di conservare la sua oscurità e svelando per la prima volta il suo nome.

La post-credit di Black Adam che dà speranza ai fan del DC Extended Universe

Sembrerebbe particolarmente svilente – per la pellicola – da sottolineare, ma l’interesse maggiore per il film si concentra senza alcun dubbio nei suoi secondi finali, presenti all’interno della scena post-credit del film. L’obiettivo del prodotto cinematografico appare abbastanza dichiarato: gettare le basi per il futuro del DC Extended Universe, fino a questo momento segnato da una serie di errori di gestione e prodotti che non hanno convinto (tranne alcune eccezioni) la maggior parte dei fan.

Su questa base, la scena post-credit di Black Adam appare sicuramente interessante: il ritorno di Henry Cavill nei panni di Superman permette di pensare ai futuri progetti inclusi all’interno del DC Extended Universe, tra cui l’immancabile lotta tra l’antieroe già dichiarato, Black Adam, e un personaggio dall’ancora difficile collocazione come Superman. Dwayne Johnson, a suo modo, aveva già annunciato che uno dei progetti fosse quello di vedere uno scontro Black Adam vs Superman, sperando che gli esiti siano sicuramente differenti rispetto alla grande delusione di Batman v Superman. Intanto, la sala può sicuramente esultare nel ritrovare una delle punte di diamante in casa DC.

La recensione di Black Adam: un film da guardare senza pretese

Si viene, a questo punto, alla recensione di Black Adam, il nuovo film con Dwayne Johnson nei panni del cupo protagonista e parte dell’Universo Condiviso della DC. Preme innanzitutto sottolineare la natura di un progetto simile: si tratta, forse neanche troppo implicitamente, di un prodotto di transizione, che serve a gettare le basi per l’evoluzione futura dell’Universo e che, ancora una volta, preferisce sviluppare in modo completo le dinamiche di ogni protagonista, evitando contatti e riducendo (a meno che non sia mediaticamente necessario) i confronti con altri personaggi della DC.

Black Adam era un personaggio che, nei progetti iniziali, sarebbe dovuto comparire in Shazam!, anticipando gli spettatori circa lo scontro tra i due che sarebbe poi avvenuto in altre pellicole: a seguito del tramonto di questa decisione, entrambi i film gettano soltanto le basi per una narrazione futura, naturalmente perdendo molto in termini di racconto e di interesse. Nonostante queste premesse, Black Adam fa il suo (verrebbe da dire “sporco”) lavoro, creando una narrazione particolarmente solida, evitando quanto più possibile manierismi ed estremizzazioni e, infine, generando una tipologia di racconto particolarmente piana nei suoi aspetti, in cui la scansione in atti è classica e la collocazione dei personaggi più che tipica.

L’espediente retorico che più convince (almeno nelle intenzioni), e genera interesse, riguarda sicuramente la doppia natura del protagonista: al di fuori della classica rappresentazione di una morale salda, Dwayne Johnson veste i panni di un personaggio che oscilla ambiguamente tra l’essere un eroe e un antieroe, a tratti apparendo estremamente malvagio, salvo poi riprendere parte di quella bontà tipica e atta a tranquillizzare lo spettatore. L’ambivalenza tra la crudeltà di alcune scelte e la gag comica facile non spezza troppo il ritmo, grazie ad una gestione dell’ironia che non stanca e non appesantisce la narrazione. Ogni momento, a dirla tutta, sembra essere ben calibrato nei 124 minuti totali della pellicola, quasi fosse stato studiato a tavolino per includere ogni aspetto del saper idealmente fare un cinecomic nella contemporaneità.

Lungi dal considerarlo un pregio o un difetto, questo aspetto è semplicemente la descrizione di un film che non vuole osare troppo in nessun senso, non riuscendo sicuramente a deludere per i suoi aspetti, non sapendo certamente stupire per altri. In poche e semplici parole, sembra di rivedere una classica narrativa d’azione anni ’90 (o, se si vuole, un qualsiasi film di The Rock), con un maggior investimento nel comparto tecnico e grafico.

I pregi di Black Adam e ciò che non funziona nella pellicola con Dwayne Johnson

Scendendo più nello specifico degli aspetti della pellicola, si può proseguire attraverso la più classica delle scansioni del film, sottolineando tutto ciò che ha e non ha funzionato all’interno della pellicola diretta da Jaume Collet-Serra. Si parte proprio dal regista: già al lavoro con Jungle Cruise e L’uomo sul treno, lo spagnolo decide di dedicarsi ben poco a quei manierismi che spesso hanno fatto storcere il naso agli spettatori DC: in un certo senso, la mano del regista si osserva nel considerare un prodotto che – per certi versi – appare abbastanza anonimo e senza personalizzazione, rispettando ben più rigidi schemi che verranno soltanto poi approfonditi. Il ricorso al classico rallenty, che ormai rappresenta il marchio di fabbrica/meme di Zack Snyder, viene limitato quanto più possibile in alcuni momenti della pellicola: eppure, quando presente, appare particolarmente stucchevole e decontestualizzato, non riuscendo ad offrire nulla in più di una scena che ambisce ad essere memorabile. Purtroppo (per la scena e per questo modus operandi), di fronte a queste scelte si è sempre più propensi a chiudere gli occhi e andare avanti.

Quanto a Dwayne Johnson: fa il Dwayne Johnson. Difficile aspettarsi qualcosa di più – o di meno, a dire il vero – da un attore che ha sempre interpretato la carriera in modo analogo, non discostandosi mai da quell’archetipo di personaggio che gli ha dato valore cinematografico; in Black Adam si percepisce il risentimento dettato dalla mancanza di un impianto classico, in grado di conferirgli il dominio morale della pellicola: di contro, però, appare sicuramente sensata la scelta di limitare all’osso i dialoghi che lo vedono protagonista (considerando il fatto che 1/3 di questi ultimi sono gag comiche con personaggi secondari e 2/3 è rappresentato da frasi a effetto o simil tali); l’attore che stupisce sul grande schermo è Pierce Brosnan: benché il suo destino appaia francamente prevedibile, l’esercizio di apogeo emotivo appartiene sicuramente al suo Dottor Fate, che si sacrifica per la causa e dimostra di saper andare oltre gli aspetti della classica dicotomia tra bene e male; è un vero peccato, a dirla tutta, averlo osservato così poco sullo schermo.

Sulla base dei precedenti aspetti, si percepisce quanto – ancora, purtroppo – sia necessario concepire un cinecomic attraverso dinamiche classiche che fanno scadere il film ormai quasi aprioristicamente: in tal senso, Black Adam non si discosta troppo da Shazam!, che aveva necessitato di 34 minuti per introdurre realmente lo spettatore nel racconto, oltre che della classica contrapposizione bene-male che, anche in questo caso, là dove la potenzialità per offrire un qualcosa di diverso c’era, si rivela essere tale. In conclusione, menzione speciale (in negativo) per una colonna sonora anche troppo piatta, mentre merita i complimenti la scenografia, che crea la città di Kahndaq in modo notevole, rendendola il vero motore della narrazione attraverso un’ottima cura dei dettagli.

About the Author

Bruno Santini
Laureando in comunicazione e marketing, copywriter presso la Wolf Agency di Moncalieri (TO) e grande estimatore delle geometrie wesandersoniane. Amante del cinema in tutte le sue definizioni ed esperto in news di attualità, recensioni e approfondimenti.