Recensione – Benedetta: il nuovo film di Paul Verhoeven

Benedetta, un film di Paul Verhoeven

Presentato in anteprima alla 74esima edizione del Festival Di Cannes – dopo diversi rinvii dovuti prima ai ritardi nella post-produzione del film e poi per la cancellazione della 73esima edizione del Festival per via dell’emergenza pandemicaBenedetta è l’ultimo film di Paul Verhoeven, che arriva in Italia con due anni di ritardo e che si trova nelle sale in questo momento. Il film, della durata di ben 131 minuti, non è stato esente da critiche, com’è forse normale che sia per via delle tematiche trattate ed ha subìto addirittura dei divieti, come per esempio a Singapore dove il film non è stato distribuito perchè ritenuto offensivo nei confronti di Gesù Cristo e della Chiesa cattolica. Nel cast troviamo Virginie Efira, Charlotte Rampling, Daphné Patakia, Lambert Wilson e Louise Chevillotte. Di seguito, ecco dunque la trama e la recensione di Benedetta, l’ultimo film diretto da Paul Verhoeven.

La trama di Benedetta, il nuovo film di Paul Verhoeven

Basato sul saggio Atti impuri – Vita di una Monaca Lesbica nell’Italia del Rinascimento di Judith C. Brown, l’ispirazione viene dalla figura di Benedetta Carlini, una suora che si unisce in un convento di Pescia nel XVII secolo, dove inizia una storia d’amore con un’altra donna. Il film inizia con una Benedetta (Virginie Efira) ancora bambina che, dopo che lei ed i suoi genitori sono stati accerchiati da alcuni banditi, riesce a farsi restituire la catenina d’oro rubata alla madre. Dopo questo avvenimento, si fa un salto in avanti di ben 18 anni, Benedetta entra in questo convento la cui Badessa è la sempre meravigliosa Charlotte Rampling e, poco tempo dopo il suo ingresso, conosce Bartolomea (Daphné Patakia), ragazza cui il padre dava la caccia per colpirla e violentarla ma che, grazie al suo intervento ed a quello del padre e delle sue ricchezze, Benedetta riesce a salvare e far entrare nel convento con lei. Tra le due scoppierà una passione irrefrenabile, cui si andranno ad alternare visioni di Benedetta che richiederanno l’intervento del Nunzio Pontificio, per capire cosa sta accadendo esattamente e finendo per accusarla di eresia e blasfemia.

La Recensione di Benedetta, di Paul Verhoeven: un film riuscito a metà

Chi conosce Paul Verhoeven sarà d’accordo nell’affermare che questa storia sembrava davvero in attesa di un regista come lui per essere messa in scena. D’altronde, la carriera del regista nato ad Amsterdam nel 1938 si è sempre fondata su elementi quali il sesso, l’ironia, i rapporti di forza ed il modo in cui le persone hanno sempre una doppia faccia, di cui non ci si può mai fidare al 100%. Eppure in Benedetta, la fede ha un ruolo cruciale non solo per quanto riguarda la sua protagonista – compie davvero dei miracoli o è una ciarlatana? – ma per tutto il discorso religioso che a volte si trova in primo piano, a volte si defila. D’altronde, cos’è la religione se non fede? Cos’è se non, letteralmente, il credere in qualcosa di cui non si può avere certezza? L’obiettivo non è ovviamente l’andare a trattare un argomento così grande ed ampio, ma sottolineare come il dubbio e l’instabilità di alcuni elementi in gioco permeano l’intera pellicola.

Paul Verhoeven gioca su questi elementi e gioca con lo spettatore stesso, cui vengono giustamente lasciati dei dubbi fino alla fine ma, allo stesso tempo, viene posto in una posizione privilegiata, quasi voyeurista. Lo spettatore infatti vede dal principio la nascita della passione tra Benedetta e Bartolomea, prima ancora di Benedetta stessa forse. Lo spettatore le osserva nella loro intimità e nel loro privato, quando ancora nessuno dubita di loro da quel punto di vista se non il personaggio interpretato da Charlotte Rampling che, proprio come un voyeur, osserva gli atti impuri delle due attraverso un buco da lei stessa scavato attraverso il muro della stanza in cui si trovano e le osserva, come lo stesso spettatore. Osserviamo Benedetta scoprire la propria sessualità, la osserviamo mentre fa sesso con Bartolomea, mentre gioca con un Sex Toy intagliato da quest’ultima nella statuetta che avevamo visto ad inizio film e la osserviamo mentre ha un orgasmo, visto forse come uno degli elementi più vicini al divino, al trascendentale, che possa esistere.

Il film gioca dunque su questi elementi, senza però essere esente da difetti, a partire dalla sua protagonista. Virginie Efira – che aveva già collaborato con Verhoeven per la sua precedente opera, ovvero Elle – non riesce a convincere fino in fondo o, tantomeno, a sembrare davvero una suora del XVII secolo. Allo stesso tempo, anche Daphné Patakia non eccelle ed il suo personaggio sembra poi fin troppo spesso tirato da una parte e dall’altra, strattonato, prendendo prima le difese di Benedetta, poi allontanandosi, per poi tornare da lei fino ad allontanarsi nuovamente. Nel guardare il film, chi dà l’impressione di essere di un’altra categoria a livello attoriale non so certo loro due, ma la sempre grandiosa Charlotte Rampling e Lambert Wilson, conosciuto dai più per il suo ruolo del Merovingio nella saga di Matrix. Inoltre, scenografia, costumi e la totale messa in scena sembrano, purtroppo, di serie B e rendono il film un po’ plastico, oltre al fatto che le scene di black humor lasciano piuttosto perplessi e quelle in cui il corpo di Benedetta viene posseduto sono davvero di scarso livello, per ritornare all’interpretazione della protagonista.

Vale quindi la pena andare a vedere questo film al cinema? La risposta è comunque affermativa, si tratta comunque di difetti che non necessariamente vanno a rovinare la visione allo spettatore ed è un film con, al suo interno, moltissimi elementi da cui ogni persona potrà certamente trarre i propri spunti e tematiche che gli stanno a cuore o, viceversa, che non apprezzano, ma che possono dare il là per una riflessione interessante. Paul Verhoeven accusa forse, come normale che sia, la sua età – compirà 85 anni a luglio – ma dimostra sempre e comunque di essere un grandissimo autore, uno di quelli che vanno seguiti con attenzione ed analizzati, vista la natura stratificata delle sue opere, anche di quelle meno riuscite. La visione è dunque consigliata, nonostante il film non abbia goduto di una grandissima distribuzione che è avvenuta, tra l’altro, con grande ritardo rispetto al resto del mondo.

About the Author

Gabriele Maccauro
Laureato in Lingue Orientali presso "La Sapienza" di Roma, Master in Adattamento Dialoghi per Cinema e Tv presso Accademia Nazionale Del Cinema di Bologna e Sceneggiatore. Amante del cinema e della critica cinematografica.