Recensione – Triangle of Sadness: il vincitore della Palma d’oro a Cannes 2022

La recensione di Triangle of Sadness, vincitore della Palma d'oro a Cannes 2022

Triangle of Sadness è un film del 2022, diretto dal regista svedese Ruben Ostlund e vincitore della Palma d’Oro a Cannes 2022. Ostlund aveva già trionfato a Cannes aggiudicandosi la Palma d’Oro nel 2017 con The Square, ed è l’unico regista a poterne sfoggiare ben due nella storia del festival. Triangle of Sadness ha diviso però la critica. Nonostante ciò, è stato candidato agli Oscar 2023 nelle seguenti categorie: miglior sceneggiatura originale, miglior regia e miglior film. La durata del film è di 149 minuti circa. Il cast è composto da Harris Dickinson, Charlbi Dean, Woody Harrelson, Zlatko Buric, Oliver Ford Davies, Iris Berben, Hanna Oldenburg, Arvin Kananian, Sunnyi Melles. Il film è stato distribuito in Italia il 27 ottobre 2022, mentre a marzo 2023 è stato rilasciato in Home-Video e sulle piattaforme dedicate al noleggio e all’acquisto digitale. Ecco la trama e la recensione di Triangle of Sadness, vincitore della Palma d’Oro a Cannes 2022.

La trama di Triangle of Sadness, diretto da Ruben Ostlund

Film diviso in tre capitoli: si apre con il primo ambientato nel mondo della moda ed incentrato su due modelli e influencer che sono Carl (Harris Dickinson) e Yaya (Charlbi Dean). La coppia sta meditando di dare l’addio alle passerelle dopo aver appreso che la carriera di Carl è in declino, e Yaya si è rivelata non davvero innamorata di lui ma dei followers che i due riescono ad ottenere insieme. Nonostante la loro giovane età, il tempo inizia a mostrare i primi segni del suo passaggio e nello stressante mondo del fashion le rughe non sono viste di buon occhio, soprattutto quella appena in su al sopracciglio, il cosiddetto triangolo della tristezza.

Dopo l’ultima Fashion Week, i due vengono invitati su un yatch per una crociera di lusso, e lì comincia il secondo capitolo. Mentre l’equipaggio si occupa di ogni piccolo bisogno degli ospiti, assecondando ogni capriccio delle persone più ricche al mondo (l’1% della popolazione). Lo staff ad un certo punto è costretto a farsi una nuotata mentre è in servizio, solo perché richiesto. Nel frattempo, il capitano (Woody Harrelson) si rifiuta di uscire dalla sua cabina, e la famosa cena di gala si avvicina, Paula (Vicki Berlin) che è il capo dello staff è visibilmente preoccupata. Di colpo gli avvenimenti prendono una svolta inattesa, i rapporti di forza s’invertono e si scatena una tempesta che rischia di mettere seriamente in pericolo il confort dei passeggeri.

Un colpo di scena costringerà alcuni dei personaggi a restare bloccati su un’isola deserta, in attesa di ricevere aiuto, ma ciò sembra tardare ad arrivare. Siccome vengono a mancare i ruoli stabiliti nella società, c’è una sovversione dei generi e degli stereotipi, e i presenti si troveranno ancor più in difficoltà di fronte una tale confusione e soprattutto, senza i soliti confort a cui sono stati abituati quotidianamente. Chi li salverà? Al momento sembra essere Abigail (Dolly de Leon) a poter mantenere l’ordine, ma la signora delle pulizie sarà in grado di gestire queste personalità così ingombranti e nulla facenti?

La recensione di Triangle of Sadness: pregi e difetti

In Triangle of Sadness, il regista svedese Ruben Ostlund propone uno sguardo satirico legando le questioni individuali a quelle sociali, ampliando il mondo privato presentato nell’incipit del film. Questa commedia nera di oltre 2 ore e 20 ha dei momenti alti soprattutto nei primi due capitoli, dove vengono posti sotto la lente d’ingrandimento i ruoli stabiliti dal genere d’appartenenza, quindi uomo o donna. La discussione iniziale tra Carl e Yaya denota subito i segni del decadimento di due personaggi giovani e di buona carriera, ma il nervosismo è dietro l’angolo e il dettaglio non può essere celato quando si inarca il “triangolo della tristezza”. Si tratta di una ruga impercettibile che però è sintomo di una vita spasmodica, volta alla concretezza e ai sacrifici alimentari, privati, relazionali.

Il mondo della moda viene ritratto come incoerente, sfuggente e perlopiù senza filtri, causando così delle reazioni spropositate in chi vive quotidianamente una realtà così spietata. La contraddizione viene messa agli atti durante la scena della cena che Yaya dovrebbe pagare, secondo Carl, e in effetti potrebbe anche farlo siccome sottolinea che guadagna uno stipendio maggiore rispetto al suo fidanzato. Eppure, la ragazza ci tiene che i ruoli predisposti dalla società in quanto pregiudizi legati al sesso, vengano rispettati senza faticare troppo a riflettere sul da farsi. L’elemento interessante è la psicologia che viene mostrata tra i due, siccome le loro reazioni sono causate dal seguire passivamente uno stereotipo, e la fuoriuscita da questi schemi provoca un terremoto non indifferente. Tuttavia, la stessa Yaya ammette di stare con Carl in quanto piacciono al loro pubblico, aumentando di followers. Il ragazzo cerca invece il vero amore. Le contrapposizioni sono gli espedienti narrativi prediletti da Ostlund nel film, in modo tale da sottolineare sin da subito l’inversione di rotta dettata dai ruoli nella società.

Nel secondo capitolo il focus si sposta su uno yatch, dove in maniera parossistica l’equipaggio deve nevroticamente eseguire ogni richiesta formulata dai clienti, anche la più assurda. In modo del tutto naturale avvengono dialoghi e scene assurde, degli ossimori inscenati con un ché di percettivo il cui scopo è disturbare lo spettatore. Yaya e Carl si rapportano con altri personaggi, di cui un uomo estremamente ricco ma lasciato solo dalla propria compagnia cerca di postare foto in cui viene identificato con due donne di bella presenza su uno sfondo marittimo. Impressionante e comico l’assurdo quanto naturalistico dialogo che la coppia di modelli tiene con due anziani venditori di armi. Ma va citato anche il russo che vende fertilizzanti, autodefinitosi “il re della merda”. La scena madre che include questo personaggio, vede lui e il capitano poco equilibrato dello yatch scambiarsi di ruolo: il russo diventa un avido capitalista, il capitano è invece un aspirante socialista che comunque vive nel lusso, non centrando così l’obiettivo ideologico proposto dalla dottrina politica.

Questa sovversione avviene in una scena a dir poco folle. Nel corso della cena tra gli ospiti e il capitano, la posizione dello yatch è declinato e il mal di mare presto colpisce coloro che sono a tavola. Si cerca inesorabilmente ed inutilmente di conservare un minimo di rigore, ma a nulla serve bere lo champagne sperando che la nausea passi. Le escrezioni corporali diventano protagoniste, e letteralmente i ricchi ospiti navigano nei propri sudici liquidi. Nel frattempo, il venditore di fertilizzanti ubriaco prende il controllo del microfono dello yatch e lascia credere che l’imbarcazione stia affondando, generando una scena divertente in cui i ricchi, preoccupati, cadono più e più volte nel tentativo di scappare non si sa bene dove. Ostlund ha così confezionato una parodia in miniatura di Titanic, ma per rendere fruibili a tutti la provocazione usa un montaggio narrativo e propone delle inquadrature in grado di incrementare l’esperienza sensoriale. Ad esempio, i rumori vengono accentuati mentre è in scena una mosca proprio a voler evidenziare il fastidio durante una scena in cui Carl è geloso di un uomo osservato da Yaya. Il colpo di scena che vede protagonisti i pirati, avvia il terzo capitolo sull’isola.

Il terzo capitolo di Triangle of Sadness è il più problematico

Quando alcuni dei personaggi presenti nel secondo capitolo finiscono sull’isola deserta, Triangle of Sadness finisce per diventare una commedia didascalica e piuttosto vacua, evidenziando come Ostlund abbia perso la bussola dopo appena un’ora e mezza di film. L’ultima parte è la più lunga e anche in maniera ingiustificata, siccome risulta ridondante nell’esposizione e poco graffiante per messa in scena. Le inquadrature percettive mostrate nei capitoli precedenti non riescono ad avere un’utilità narrativa nel terzo capitolo, anzi sbiadiscono in favore di un’accentuazione dei rumori che non basta da sola a scalfire lo spettatore. Il terzo capitolo mette a nudo i personaggi, che senza i ruoli stabiliti dalla società e i valori capitalistici, si trovano in seria difficoltà se non fosse per Abigail, la donna filippina che sullo yatch effettuava le pulizie. Lei, dal basso procede verso l’alto, proclamandosi capitano in quanto in grado di accendere un fuoco, pescare e cucinare per sé stessa e tutti gli altri. Un vero e proprio matriarcato quello messo in atto, dove Carl diventa merce sessuale che scambia il suo corpo e le sue prestazioni per ricevere del cibo. Yaya è decisamente gelosa, ma le scene in un’ora di capitolo sull’isola, sono di una banalità sconcertante e rendono pesante la durata di tutto il film. I primi due capitoli, sembrano uscirne depotenziati dopo quest’ultimo fin troppo lineare e senza mordente.

Il finale fuori campo suggerisce un’altra soluzione didascalica, ovvero che chi è in basso e si ritrova poi al potere vuole conservarlo e custodirlo gelosamente, ad ogni costo. Vengono presi in giro tutti i personaggi per non aver compreso di essere nei pressi di un lussuoso resort, e nel frattempo hanno trascorso interi giorni in attesa dei soccorsi, che erano proprio dietro l’angolo. Un finale chiarificatore che però non serve a molto, in fin dei conti. Il significato dell’opera era già stato evidenziato nei passaggi precedenti, e l’ultima ora sull’isola non fa altro che mostrare ovvietà, svilendo lo spettatore. Tutto viene risolto con uno stereotipo poco funzionale: le donne hanno preso il controllo e portano avanti l’isola servendosi degli uomini, che in realtà non fanno nulla se non recare disturbo. Ricchi e poveri diventano uguali sull’isola, ma anche in questo caso nessun dialogo o provocazione è degna di nota. La sceneggiatura procede con il pilota automatico senza lasciare il segno, diluendo in un’ora un terzo atto che da raccontare ha ben poco, riportando i personaggi allo stato di partenza e annullando ogni discorso imbastito in precedenza. La finalità era quella di smascherare i ruoli una volta cancellata la società sull’isola.

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Christian D'Avanzo
Cinefilo dalla nascita e scrittore appassionato. Credo fermamente nel potere dell'informazione e della consapevolezza. Da un anno caporedattore della redazione online di Quart4 Parete, tra una recensione e l'altro. Recente laureato in scienze della comunicazione - cinema e televisione presso l'università degli Studi Suor Orsola Benincasa.