Recensione − Paradise Police: la prima stagione

La recensione della prima stagione della serie Netflix Paradise Police

Paradise Police è una nuova serie comedy targata Netflix che ironizza la società attuale, non escludendo niente, dalla droga alla pedofilia, non smette mai di punzecchiare divertendo lo spettatore. Waco O’Guin e Roger Black (Brickleberry) sono i creatori della serie, messa in streaming da Netflix il 31 Agosto 2018, e composta da una sola stagione di 10 episodi della durata di 25 minuti circa ciascuno. Ecco la recensione della prima stagione di Paradise Police.

Paradise Police, la trama della prima stagione su Netflix

Paradise Police presenta una trama molto semplice condita dalla libertà di scrittura che permette di lasciare a casa ogni moralismo in favore della cruda realtà della società americana odierna. I protagonisti sono i poliziotti della cittadina di Paradise, il cui nome come potrete intuire, è di per sé ironico; infatti è tutto il contrario di un paradiso, tra criminalità e violenza, è più un piccolo inferno. In particolare si seguono le vicende del 18enne Kevin Crawford, figlio del Capo della polizia locale, Randall Crawford, a cui da bambino sparò ai testicoli per sbaglio, in seguito lasciato dalla moglie, Karen Crawford, sindaco della città. Kevin ha sempre desiderato entrare in polizia ed essere come suo padre, ma la cosa non sarà affatto semplice data la sua incredibile goffaggine. La madre riesce a fargli avere quel posto tanto ambito e lui farà di tutto per ripagare la sua fiducia, nonostante le incomprensioni (come quando Kevin inizia ad avere una relazione, anche sessuale, con la nuova macchina della polizia comprata dal sindaco). Le altre bad cops sono: la pazza e sempre violenta Gina Jabowski, l’obeso Dusty Marlow, l’anziano Stanley Hopson, l’agente afroamericano con disturbi post-traumatici Gerald “Fitz” Fitzgerald e il cane-poliziotto Bossolo, dipendente da qualsiasi droga esistente. La trama è spalmata in tutti e 10 gli episodi, a differenza invece di serie dello stesso genere come I Griffin, e riguarda il mistero della nuova metanfetamina che gira in città e come i nostri infaticabili poliziotti cercheranno di risolverlo.

La recensione della prima stagione di Paradise Police, satira senza limiti su Netflix

Gli argomenti sono davvero tanti: droga, sesso, pedofilia, mass media, il comportamento nei confronti degli anziani, omosessualità. Insomma gli autori non si sono di certo risparmiati dalla critica, con battute taglienti ed azioni che strappano più di una risata, ma ci fanno anche riflettere sugli effettivi problemi che affliggono la grande nazione che è l’America (ma la maggior parte delle critiche possono essere fatte a tutto il mondo). In un episodio il tema principale è l’abuso di droghe da parte del cane Bossolo, in un altro è la violenza usata dai poliziotti, in particolare Gina che è fuori di testa, in un altro ancora è il tentativo di lasciare il poliziotto più anziano, Stanley, in una casa di riposo, passando poi per la crudeltà contro la comunità afroamericana simboleggiata in particolar modo da Fitzgerald. Al tutto aggiungiamo uno sfondo iperbolico, con macchine super intelligenti e robot giganti, allusioni sessuali e fat-shaming, non prendendosi mai sul serio. La sessualità è quasi fastidiosa, non si riesce a capire bene a chi piace chi o cosa. Sia per quanto riguarda Stanley, vecchietto che tende al rapporto con gli uomini da cui sembra trarre piacere, sia per Dusty, l’obeso effemminato. Neanche gli stereotipi mancano. Randall è proprio il poliziotto americano stereotipato per eccellenza, misogino e razzista, ma anche violento, tanto da trasformarsi in un Hulk rosso se indossa troppi dei suoi cerotti al testosterone (al contrario gli cresce il seno se non ne indossa abbastanza). Come sopracitato invece, Gina è la caricatura del poliziotto violento, che tiene addirittura un diario con le foto e le date dei suoi arresti.


Quello che si guadagna in libertà però lo si perde in creatività. La trama è davvero troppo semplice e si nota che fondamentalmente serve solo da contorno per la vera protagonista della serie: l’ironia. Uscendo fuori dal contesto politically incorrect, non c’è niente di particolarmente geniale o innovativo, le stesse battute sono dirette, “terra terra” per intenderci, mai raffinate. In più alcune (seppur pochissime) sequenze risultano anche ripetitive. In più tra i lati negativi c’è da dire che è davvero troppo simile alla prima serie degli autori, Brickleberry (chi l’ha vista lo avrà sicuramente notato). I personaggi sembrano rivisitazioni di quest’ultima. Kevin assomiglia a Steve; Randall a Woody; Gina a Ethel; Dusty a Connie; Fitzgerald a Denzell; Bossolo è l’orsetto Malloy in forma canina; Robbie e Delbert, personaggi secondari, sono identici a Bobbie e Bo Dean.


In conclusione, dopo aver analizzato i pro e i contro della serie, non si può far altro che consigliarla a chi cerca un prodotto di puro intrattenimento per alleggerirsi con una satira elettrizzante. Una serie comedy graffiante che supera i limiti, senza risparmiare colpi, con un politicamente scorretto raggiunto soltanto da South Park prima di questa. Netflix ha distribuito la seconda stagione da 8 episodi, e subito dopo la terza da 12. I nostri amati poliziotti sono tornati, magari più beceri di prima!

About the Author

Christian D'Avanzo
Cinefilo dalla nascita e scrittore appassionato. Credo fermamente nel potere dell'informazione e della consapevolezza. Da un anno caporedattore della redazione online di Quart4 Parete, tra una recensione e l'altro. Recente laureato in scienze della comunicazione - cinema e televisione presso l'università degli Studi Suor Orsola Benincasa.