Recensione – The Son: il dramma con Hugh Jackman, Vanessa Kirby e Laura Dern

Ecco la recensione del quinto episodio di The Last of Us

The Son è un film di genere drammatico del 2022, diretto da Florian Zeller regista del precedente The Father. Presentato in anteprima In Concorso alla 79esima Mostra Internazionale d’arte cinematografica di Venezia nel 2022, poi distribuito da 01 Distribution al cinema in Italia dal 9 febbraio 2023. La durata è di 123 minuti, ed il cast è composto da Hugh Jackman, Laura Dern, Vanessa Kirby, Zen McGrath, Hugh Quarshie, Anthony Hopkins, Danielle Lewis, William Hope, Shin-Fei Chen, Isaura Barbé-Brown, Erick Hayden, Rachel Handshaw. Torna alla sceneggiatura Christopher Hampton con Florian Zeller, stesse quattro mani che hanno lavorato insieme per The Father; al montaggio Yorgos Lamprinos; colonna sonora composta da Hans Zimmer. La trilogia in corso non è legata narrativamente quanto concettualmente: The Father, The Son e in attesa del terzo. Di seguito la trama e la recensione di The Son, dramma diretto da Florian Zeller.

La trama di The Son, dramma con Hugh Jackman

La storia è incentrata su Nicholas (Zen McGrath), adolescente che vive male la separazione dei suoi genitori avvenuta due anni prima. Il diciasettenne sembra travolto dal malessere e cerca di cambiare la sua vita semplicemente lasciando la casa di sua madre per trasferirsi dal padre. Nicholas, quindi, è affetto da un costante male di vivere, ma rifugiandosi nei ricordi d’infanzia tenta di ritrovare la luce perduta, rievocando il periodo finora più felice della sua breve esistenza. È così che sua madre Kate (Laura Dern) decide di lasciarlo al padre, Peter (Hugh Jackman), che nel frattempo si è rifatto una famiglia insieme alla sua nuova partner Beth (Vanessa Kirby), con la quale sta crescendo un neonato.

Peter cerca di essere una presenza paterna per suo figlio, tentando di riempire i vuoti lasciati negli scorsi due anni, comportandosi come avrebbe voluto che suo padre (Anthony Hopkins) facesse con lui. Eppure, Peter deve essere abile nel gestire la sua vita frenetica, che comprende, oltre alla sua famiglia, anche la possibilità di una brillante carriera politica a Washington. Mentre cerca di porre rimedio alle sviste del passato, l’uomo perde di vista quello che è il presente di suo figlio, lasciando che i suoi problemi lo assalgano deteriorando la propria realtà. Siccome viene portato in clinica per i numerosi tentativi di suicidio, Peter e Kate devono decidere se lasciarlo in cura nell’apposita struttura, oppure tirarlo fuori data la sua disperazione incrementata.

La recensione di The Son, un netto passo indietro colmo di banalità

Florian Zeller è un autore francese che ha già trasporto la sua precedente pièce teatrale con il folgorante esordio in The Father, adesso è passato quella dell’intermezzo The Son, e si attende la chiusura della trilogia con The Mother. Nel film con protagonista Anthony Hopkins il linguaggio cinematografico era sfruttato sapientemente con il montaggio ancora indissolubilmente alla malattia dell’anziano, così come le scenografie che subiscono cambi repentini per fornire allo spettatore una rappresentazione morbosa dell’Alzheimer. In The Son manca completamente questo aspetto fondamentale, rendendo la visione del film sorprendentemente piatta; ma soprattutto, non viene utilizzata la macchina cinema per esternare i corrosi sentimenti interni dei personaggi. La depressione adolescenziale non può essere veicolata soltanto attraverso delle buone interpretazioni, da Zeller ci si aspettava un proseguo con un filo conduttore di livello come nel film predecessore. La banalità dei dialoghi e delle situazioni è sinceramente spiazzante, poiché per l’opera centrale di un’ambiziosa trilogia bisognava centrare il punto con un’arguzia vitale, come accaduto in The Father. Nel caso specifico di The Son, tutto è esattamente al suo posto: i conflitti tra i personaggi, i ricordi di un periodo felice in contrasto con un presente difficoltoso, le reazioni malinconiche. Non c’è nessuna componente in grado di elevare il film, che nel finale scade in un vertiginoso e retorico discorso, arrivato tramite un espediente narrativo totalmente fuori luogo e senza una vera e propria idea. Quest’ultimo elemento, riesce nel paradossale tentativo di essere sia convenzionale che anticonvenzionale per l’incredulità alla quale lo spettatore è sottoposto: quasi non ci si crede che sia stata proposta una sequenza così, dopo aver seminato un informazione ad un certo punto del film.

Il rapporto padre-figlio viene enfatizzato da un’aura melodrammatica dispersiva e fin troppo telefonata, dove Peter rivede in sé stesso suo padre e la loro relazione ormai incrinata. Per paura che ciò avvenga anche nella sua nuova realtà, dove Nicholas è avvolto da un malessere inspiegabile, tenta più volte di cambiare il suo approccio con il figlio, rendendosi simpatico e scherzoso. Kate è una persona affranta, ma è talmente passiva che non se ne comprende appieno il ruolo all’interno del film; Beth è un mero espediente narrativo per tentare di addossare ulteriori colpe a Peter. La sua nuova partner non viene approfondita e i dialoghi con lei sono tutt’altro che incisivi. La drammaticità raggiunge dei picchi anche patetici per l’eccessiva carica con la quale viene inscenata, siccome a non funzionare in The Son, sono gli elementi cinematografici pressoché deboli. Piuttosto che una rappresentazione di una malattia, le intenzioni qui sembrano di voler riflettere sulla depressione a sé stante, ma la speranza di poterci effettivamente pensare su viene spazzata via dalla vacuità della sceneggiatura. Un padre diviso emotivamente a metà tra la prestigiosa carriera e le borghesi mura domestiche, è un motore d’azione che fa fatica ad accendersi e termina la sua corsa (mai davvero iniziata) in un prefinale goffo e prevedibile, di cui lo spettatore viene informato a poco meno di metà film. Quasi una soap opera scarna, The Son è pesante nella verbosità delle scelte compiute per metterlo in scena partendo dalla pièce teatrale. La superficialità dimostrata da Peter e la sua mancanza di comprensione nel momento clou poiché guidato dal cuore più che dalla logica, sembra quasi un modo per sviare dalla depressione adolescenziale ai fini di giudicare un personaggio.

The Son, uno sproloquio inutile incentrato su un tema fondamentale

La colpa di The Son, infine, è di non riuscire a dare importanza alla riflessione o alla rappresentazione di un tema fondamentale per la società contemporanea: la depressione. In tal caso Nicholas è un personaggio sfuggente e respingente, ma l’effetto è quello di lasciare lo spettatore empatizzare con il vero protagonista, che sarebbe Peter. Non se ne comprende il senso di una tale scelta, decisamente pigra e goffa, siccome lo stesso Peter sembra in preda alla disperazione e all’ingenuità. E allora, ci si chiede, bisogna giudicare negativamente un genitore per la scelta compiuta sul finale? Dov’è il vero conflitto che non sia lo sputarsi banalmente sentenze nei dialoghi tra un personaggio ed un altro? In The Son manca un percorso, manca una struttura vera e propria, manca di autenticità. Ma l’elemento che marca essenzialmente quanto scritto, è il doppio (inutile) finale. Rendere prevedibile quanto si vedrà, in che modo dovrebbe giovare a chi osserva, resta un mistero inspiegabile a cui solo gli autori potrebbe eventualmente rispondere. Nel film, così come per il regista, non ci sono progressi ma un netto fallimento che non serve a nessuno culminato in un tedioso finale.

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Christian D'Avanzo
Cinefilo dalla nascita e scrittore appassionato. Credo fermamente nel potere dell'informazione e della consapevolezza. Da un anno caporedattore della redazione online di Quart4 Parete, tra una recensione e l'altro. Recente laureato in scienze della comunicazione - cinema e televisione presso l'università degli Studi Suor Orsola Benincasa.