The French Dispatch: dal bianco e nero al New Yorker, le grandi ispirazioni di Wes Anderson

The French Dispatch ispirazioni Wes Anderson

The French Dispatch è, senza alcun dubbio, uno dei film più attesi dell’anno, non soltanto perchè porta la firma del tanto amato Wes Anderson, ma anche e soprattutto in virtù di un cast eccezionale che contiene nomi di altissimo livello, come quelli di Benicio del Toro, Adrien Brody, Tilda Swinton, Léa Seydoux, Frances McDormand, Timothée Chalamet, Lyna Khoudri, Jeffrey Wright, Mathieu Amalric, Stephen Park, Bill Murray e Owen Wilson, oltre che Liev Schreiber, Edward Norton, Willem Dafoe, Saoirse Ronan, Jason Schwartzman e Anjelica Huston. In virtù di una così tanto folta partecipazione e, soprattutto, sulla base delle grandi ispirazioni che hanno interessato il regista di The French Dispatch, non si può che parlare di uno dei prodotti che sembrano essere riusciti almeno dal punto di vista prettamente ideologico e strutturale. Per questo motivo, vale la pena considerare tutto ciò che c’è da sapere a proposito delle scelte del regista, che si è espresso in numerose dichiarazioni relative al film in questione.

L’ispirazione di Wes Anderson e l’amore per il New Yorker

The French Dispatch è un film che celebra il giornalismo in ogni sua parte, sia dal punto di vista prettamente estetico, sia per l’immensa mole di significati che possono essere identificati all’interno della pellicola. Non a caso, Wes Anderson ha spiegato che molto di ciò che si può osservare all’interno del prodotto cinematografico deriva da un vissuto che la pellicola riesce a mostrare perfettamente e che, di conseguenza, riguarda anche l’infanzia del regista statunitense.

A proposito del New Yorker, ad esempio, ha spiegato quanto segue: «Ho sempre amato il New Yorker, quella è l’ispirazione principale. Lo leggevo da ragazzo, e col tempo mi sono interessato alle persone che ci lavoravano e che ci lavorano, e mi è venuta la voglia di raccontare la realtà dietro la rivista. Sono sempre stato affascinato dai racconti brevi all’inizio del giornale, erano lavori di fantasia che hanno cambiato la narrativa dell’epoca. The French Dispatch è presentato come un film sul giornalismo, ma in realtà è fatto di racconti immaginari come erano quelli del New Yorker. Non è una lettera d’amore nei confronti del giornalismo, anche se continuo a comprare e leggere i quotidiani tutti i giorni: è solo un omaggio a qualcosa e a qualcuno che ammiro, e quell’omaggio è così evidente che lo dichiaro come in una nota a piè di pagina. Rubo sempre qua e là per migliorare i miei film, e stavolta l’ho fatto dal New Yorker e i suoi giornalisti».

A margine delle sue dichiarazioni, in cui ha spiegato che il film non può definirsi una lettera d’amore al giornalismo per la sua struttura e i suoi significati, il regista ha parlato anche di uno dei temi meglio affrontati all’interno del prodotto cinematografico: le fake news. A tal proposito, ha spiegato quanto segue: ”C’è una lunga tradizione di direttori di testate che manipolano le notizie per vendere di più. Qui invece cerco di mettere in scena la necessità di scrivere nel modo giusto, seguendo la verità. È molto importante il gioco di squadra. Oggi sappiamo che le informazioni vengono presentate senza mediazione, e quindi si rischia spesso di sbagliare'”.

Wes Anderson e la scelta del bianco e nero

Una delle chiavi strutturali del film, da un punto di vista prettamente tecnico, è determinata dalla scelta – seppur non esclusiva- del bianco e nero, che accompagna diverse scene e, soprattutto, alcuni personaggi. Il motivo per cui il bianco e nero è stato scelto non ha un valore soprattutto estetico, come spiegato dal regista Wes Anderson, ma anche e soprattutto ideologico.

Per riuscire a comprendere meglio il perchè di questa scelta, basterà guardare alle dichiarazioni del regista di Houston, che si è spiegato nei seguenti termini: «Il mio primo film, un cortometraggio (Bottle Rocket, che ha poi ispirato il lungometraggio omonimo del 1996, ndr), era in bianco e nero, dunque quell’estetica mi è sempre piaciuta. Di recente ho fatto una chiacchierata con un regista che ha girato una ventina di film, tutti in bianco e nero e in formato 4:3. Per lui è l’unica scelta possibile: dice che è un modo per “semplificare” l’immagine e per garantire sempre una sorta di bellezza. Non è la mia posizione sul tema: anche in The French Dispatch, in cui ho usato principalmente il bianco e nero, passo spesso al colore e cambio continuamente formato. Ma in certi momenti la scelta del bianco e nero è stata obbligata: per il personaggio di Benicio del Toro (l’artista-detenuto Moses Rosenthaler, ndr) avevo in mente Michel Simon, un attore francese che non ho mai visto a colori, ma solo in film in bianco e nero. Quindi non potevo immaginarlo diversamente. E poi il bianco e nero ti porta a riflettere molto di più sulla luce. Ho lavorato molto con il mio direttore della fotografia (Robert Yeoman, ndr): con il bianco e nero bisogna studiare ogni volta la luce giusta perché, per esempio, un oggetto risalti nell’inquadratura. Mi ha dato grande gioia poter utilizzare tutte queste tecniche diverse, lavorare in modo ancora più stretto con il direttore della fotografia, lo scenografo…».

About the Author

Bruno Santini
Laureando in comunicazione e marketing, copywriter presso la Wolf Agency di Moncalieri (TO) e grande estimatore delle geometrie wesandersoniane. Amante del cinema in tutte le sue definizioni ed esperto in news di attualità, recensioni e approfondimenti.