Recensione – The Harder They Fall: l’anti-western targato Jeymes Samuel

The Harder They Fall recensione western Jeymes Samuel

The Harder They Fall è un film del 2021 che costituisce il debutto sullo schermo per Jeymes Samuel, musicista e regista anche conosciuto attraverso il nome di The Bullits. Produzione Netflix, che coinvolge – tra gli attori – Jonathan Majors, Idris Elba, LaKeith Stanfield e Regina King tra gli attori protagonisti, il film in questione muove dall’intento di portare avanti un’operazione anti-western, per mezzo di quell’espediente black che – come da dichiarazioni dello stesso regista, impegnato nella realizzazione del secondo prodotto cinematografico The Book of Clarence – ha voluto restituire dignità a quei protagonisti mai, o comunque raramente, rappresentati sullo schermo dal genere. Ma sarà un film riuscito nei suoi intenti? Ecco tutto ciò che c’è da sapere a proposito della trama e della recensione di The Harder They Fall.

La trama di The Harder They Fall

The Harder They Fall inizia con la cena che l’undicenne Nat Love sta avendo con la sua famiglia: all’improvviso, però, il padre viene raggiunto dal fuorilegge Rufus Buck, che uccide l’uomo e sua moglie, marchiando la fronte del bambino con una croce; a distanza di anni, Nat Love è diventato anch’egli un fuorilegge, che vendica la morte del padre uccidendo tutti coloro che avevano tramato contro di lui: soltanto Rufus Buck, che intanto è stato incarcerato a vita, viene risparmiato dall’uomo, che quindi può far ritorno ai suoi affetti. Tuttavia, Rufus Buck viene graziato e salvato dai membri di una banda rivale, guidata da Cherokee Bill; la banda di Nat Love, che sconfigge i Crimson Hood rubando loro il bottino di 25mila dollari, scopre che il celebre fuorilegge è stato liberato e che i soldi spettano a lui.

Da questo momento ci si inserisce nella trama vera e propria del film: Rufus Back raggiunge la città di Redwood City, sua roccaforte, dove sconfigge lo sceriffo e sindaco lì presente, che intanto si era appropriato della città stessa; Nat Love, invece, viene raggiunto dallo sceriffo Mass Reeves che, per quanto potrebbe arrestarlo, decide di salvarlo e di allearsi con lui per sconfiggere definitivamente il nemico comune; i due vengono raggiunti dalla banda, comprensiva anche dei fuorilegge Zazie Beets (che intanto ha aperto una catena di saloon), Jim Beckwourth, Cuffee e Bill Pickett. Quando cercano di entrare all’interno di Redwood City con un falso pretesto, gli uomini vengono sconfitti e Nat Love, insieme a Zazie Beets, catturati: a questo punto Rufus Back spiega a Nat che ha bisogno di 25mila dollari (quelli che gli erano stati rubati) più 10mila di interesse, che la banda otterrà rapinando una città di bianchi. A seguito del furto, la banda di Nat Love tenta di sconfiggere i rivali attraverso il tranello del denaro.

I soldi sono portati su un carro che viene fatto saltare in aria, mentre Cherokee Bill – colpendo a tradimento durante il conto alla rovescia – uccide Jim, che voleva dimostrarsi la mano più veloce del West. Nat e Mass Reeves uccidono numerosi uomini avversari, mentre Zazie la sua rivale Trudy (anche se solo apparentemente); Cherokee Bill, dopo aver ucciso anche Pickett alle spalle, muore per mano di Cuffee, che si era intanto rivelata essere una donna e che dimostra di essere più veloce del suo avversario, colpendolo alla giugulare. Rufus Back comprende di essere sconfitto e, decidendo di non affrontare Nat Love, gli rivela la verità: i due sono fratelli, dal momento che l’uomo ucciso 20 anni prima era suo padre, che l’aveva sempre maltrattato in vita prima di fuggire e cambiare vita e comportamento. Nat Love uccide suo fratello, che si lascia togliere la vita dal suo avversario; alla fine del film Mass Reeves (che lascia andare il protagonista fingendo che sia morto) e Cuffee si uniscono nel dare la caccia ai fuorilegge, mentre Nat e Zazie abbandonano la scena, osservati da lontano probabilmente da Trudy, sopravvissuta allo scontro.

La recensione di The Harder They Fall

The Harder They Fall muove dalla volontà, da parte del regista Jeymes Samuel, di realizzare un nuovo grande lavoro che possa funzionare in quanto rivoluzionario rispetto al genere del western. Da sempre grande appassionato della struttura di questi film, The Bullits ha voluto realizzare una grande epopea che permettesse di superare quei dettami tipici del genere, spesso caratterizzato dalla presenza di attori e personaggi di razza bianca, oltre che dalla svalutazione (o strumentalizzazione) del genere femminile. Messa in questi termini, a dire il vero, l’operazione di Jeymes Samuel non appare assolutamente nuova o rivoluzionaria, dal momento che attinge da una tradizione di superamento del western classico che era già stata messa in atto dai tempi di John Ford, con la sua concezione di un impianto che andasse oltre la dicotomia classica americani-indiani. Lo stesso ideale femminile, di potenziamento revanscista della donna, era stato invece proprio della pellicole di Clint Eastwood che, gradualmente, aveva conferito sempre più valore alle sue donne rappresentate.

Il tutto passa, naturalmente, attraverso un approfondimento di matrice psicologica dei personaggi: nessuno si connota come migliore dell’altro, così come nessuna motivazione appare più convincente e capace di giustificare le proprie azioni. Il contesto voluto da The Bullits, sia per le sue sfumature black, sia per l’idea di violenza stilistica che riguarda ogni personaggio (e che si evidenzia anche in una portata ironica dei protagonisti del longometraggio), attinge sia da Django Unchained, sia da The Hateful Eight di Quentin Tarantino, rispettivamente svuotati di contesto storico-sociale – lo schiavismo – e di quel piacere per la violenza estrema che ha provocato tante polemiche a proposito del lavoro del regista statunitense.

Trattandosi di un primo lavoro di regia, i meriti sono notevoli e vanno assolutamente riconosciuti al regista, tanto negli intenti quanto nella messa in scena di questi ultimi: il lavoro è visivamente spettacolare, per mezzo di una concezione “pittorica” della pellicola che parafrasa gli elementi tardo-ottocenteschi (soprattutto la distribuzione del colore in vertici concettuali) nelle scene di interni, che ricordano le opere di Géricault o Delacroix. Ancora una volta però non se ne comprende il senso narrativo: se i due pittori mettevano in risalto i colori della rivoluzione, il lavoro stilistico di Samuel ha una valenza soltanto estetica: il western da lui presentato è a-temporale, muove da un lavoro di finzione (così come dichiarato dai titoli di testa), potrebbe essere ambientato in qualsiasi epoca dal momento che il legame con la tradizione storica non è rilevante; per quanto siano estremamente ed esteticamente soddisfacenti alla vista, dunque, qual è il valore di questi elementi?

L’esagerazione e l’impurità

Dalle riprese ampie che vogliono mettere in risalto il grande lavoro scenografico del prodotto, fino ai piani sequenza e agli zoom ariosi, sono numerosi gli elementi della pellicola che appaiono pregevoli dal punto di vista potenzialmente simbolico; il reale problema, dal momento che non se ne può certamente discutere in quanto a valenza estetica (lo si ribadisce, The Harder They Fall è un esordio più che riuscito nei suoi intenti), si ritrova nella considerazione concettuale di ognuno di questi stessi elementi.

Il filosofo e commediografo francese Alain Badiou scriveva che “l’impurità è talmente grande, gli elementi sono talmente infiniti e la questione del denaro è così cruciale che al cinema diventa impossibile raggiungere il grado di purezza proprio delle altri arti. Rimane sempre un resto, un residuo molto importante, un’impurità che sussiste: in ogni film troverete momenti di banalità, immagini inutili, frasi che non ci dovrebbero stare, colori esagerati, attori mediocri, pornografia non controllata, e via dicendo.

The Harder They Fall è pieno, più per volontà che per inconsapevolezza, di elementi di scarto, residui di quella impurità che risiede in un meccanismo di creazione l’eccelso, il superbo dal punto di vista visivo, sacrificando parte di quella coerenza e quella purezza narrativa che – non a caso – distingue i grandi autori da coloro che li scimmiottano, incapaci di raggiungere quell’equilibrio. Ma vale anche l’opposto: il film qui presentato gioca costantemente con l’occhio dello spettatore, non attraverso lo squarcio alla Luis Bunuel ma per mezzo di un ensemble di colori, forme e immagini che creano indubbiamente piacere; The Harder They Fall può – deve, per certi versi – piacere a molte tipologie di spettatori, tra cui si includono anche colti e preparatissimi addetti ai lavori, dal momento che sceglie la strada del cromatismo e della gioia visiva. Per tanti altri, soprattutto tra coloro che ricercano il senso e la narrazione a tutti i costi, anche se visivamente scarna, il prodotto si ferma a metà rispetto a quanto volesse e dovesse dire.

Il linguaggio anti-western che sa di finto

Il gran pregio di The Harder They Fall si ritrova nelle interpretazioni dei singoli attori, da Jonathan Majors a Idris Elba, passando per la splendida resa ironica e provocatoria di LaKeith Stanfield. I personaggi presenti all’interno del film, così come le situazioni, sono funzionali alla creazione di un linguaggio anti-western che sia percepibile all’interno della pellicola: Cherokee Bill uccide il suo avversario in duello prima che scada il conto alla rovescia, a dimostrazione del fatto che quei valori puri del western (l’onore su tutti) vengono sacrificati in virtù di una messa in scena della crudeltà fraudolenta dei personaggi presentati all’interno del prodotto. Stesso dicasi anche delle esplosioni e della città di bianchi – attraverso la quale si gioca sull’ambiguità tra città letteralmente bianca e città di persone bianche -, che sono funzionali a ribaltare quei rapporti verticali che il western classico ha imposto.

L’operazione di Jeymes Samuel nasce, però, già vecchia, oltre che notevolmente finta: il regista stesso ha dichiarato di aver lavorato al suo lungometraggio per dieci anni, e il peso di questo estremo lavoro si sente; per il valore che vorrebbe esprimere, l’opera è già anacronistica, oltrepassata dalla realizzazione di altri lavori – i tarantiniani su tutti – che intanto hanno già ribaltato definitivamente quei rapporti che The Harder They Fall intendeva superare. Anche se così non fosse stato, la pellicola è infarcita così tanto di preziosismi e di elementi “puliti” da non poter in nessun caso restituire quell’epica black, polverosa e sporca, che era nelle intenzioni del regista.

About the Author

Bruno Santini
Laureando in comunicazione e marketing, copywriter presso la Wolf Agency di Moncalieri (TO) e grande estimatore delle geometrie wesandersoniane. Amante del cinema in tutte le sue definizioni ed esperto in news di attualità, recensioni e approfondimenti.