Il cattivo poeta (2020): la recensione dell’esordio alla regia di Gianluca Jodice con Sergio Castellitto

Il cattivo poeta (2020): la recensione dell'esordio alla regia di Gabriele Jodice con Sergio Castellitto

Ritrovare, in alcuni elementi caratteristici, il senso stesso della propria passione cinematografica è un esercizio che gli amanti della pellicola e del grande schermo compiono repentinamente e molto spesso. Anzi, nella maggior parte dei casi diventa anche un gioco continuo che porta ad appassionarsi ad opere di diverso tipo, a nutrire delle aspettative e a figurarsi degli obiettivi che potrebbero o meno essere confermati all’interno di una sala cinematografica. La contemporanea presenza, nel film Il cattivo poeta, di Sergio Castellitto e dell’immagine ingombrante ma ammirata di Gabriele D’Annunzio, ha rappresentato certamente un motivo di grande ammirazione per un prodotto cinematografico ambizioso e complesso, ma degno di essere osservato. Per certi versi, Il cattivo poeta sembra rispettare ognuna delle previsioni, mentre per altri tradisce qualche aspettativa, sembrando forzatamente limitato su alcuni aspetti, maniacale in altri e – nel complesso – un’opportunità mancata in alcuni dei suoi aspetti. 

Di che cosa parla Il cattivo poeta, film su Gabriele D’Annunzio

Il cattivo poeta è un film che segna l’esordio alla regia di Gianluca Jodice, regista e sceneggiatore che – per quanto abbia diretto il suo primo lavoro cinematografico in carriera – può vantare un esordio datato ormai 1995. Un esordio certamente niente male, per dirlo in termini semplici e per sottolineare il carattere di un addetto ai lavori che non si risparmia in fronzoli, piccolezze o artifici retorici: Il cattivo poeta rappresenta la trattazione degli ultimi anni di vita di Gabriele D’Annunzio, uno degli uomini di cultura, letteratura e tradizione più importanti che si siano mai distinti all’interno della storia artistica, politica e sociale italiana.

Ridurre il D’Annunzio a semplice Vate o esteta sembrerebbe essere riduttivo e, allo stesso tempo, esaltarlo a “eroe dei due mondi” risulterebbe essere ipocrita rispetto a una realtà storica che ha, invece, consegnato e creato ben altro personaggio. L’obiettivo di Jodice è dunque chiaro: anche a costo di sacrificare la pellicola in termini di brio, l’intento biografico non può mai essere tradito. Ne deriva una descrizione perfettamente attenta del personaggio, sorvegliato da un giovane Giovanni Comini a cui viene affidata una missione difficile, data la sua giovane età, ma rappresentativa del senso dell’ardore che i giovani generali muovevano nei confronti di Benito Mussolini e del fascismo.

Tra inquietudini, ricordi di una vita ormai passata, senso dell’arte che trapela attraverso frasi, parole e dichiarazioni, il film gode di poco sviluppo in termini di trama e di larga indagine intestina nei confronti di ognuno dei personaggi, che cerca di essere analizzato nei dettagli, cercando di scorgere in ognuna delle azioni compiute un senso della politica e della storia che vada ben oltre partitismi, schieramenti politici e ideologie. 

Il cattivo poeta: un’opportunità mancata?

Nello scorgere di un film che avrebbe parlato di Gabriele D’Annunzio e dei suoi ultimi anni di vita, le aspettative erano certamente altissime e si riflettevano in una prospettiva che accomuna tutti gli amanti dell’arte e della politica italiana: la figura del grande artista ha certamente cambiato le sorti e il destino dell’Italia, sia da un punto di vista ideologico che da un punto di vista strutturale. Nel tradurre sul grande schermo un qualcosa di simile, non era certamente semplice non riuscire a cedere a becera piaggeria, o – peggio – a meccanismi triti e ritriti di rappresentazione biografica. Gianluca Jodice ha cercato di determinare, all’interno della sua pellicola, una trattazione che fosse sì di natura biografica, ma che non si fermasse alla forma del biopic, riuscendo ad offrire anche elementi di pura vocazione artistica e quasi teatrale.

Il pregio della pellicola, per molti aspetti, è quello di cedere al silenzio, alla lentezza degli anni e al fruscio del vento che si può ascoltare – assordante – negli attimi in cui il film è governato dalla mancanza di un’azione ben precisa: trovare pellicole che non sappiano annoiare pur nella mancanza di un impianto strutturale definito non è certamente chiaro e il punto di partenza di Il cattivo poeta è quello di un film che non vuole mai essere saturo di elementi, azioni e parole che sovraccarichino la pellicola.

Non manca, però, una prospettiva che risulta essere meno lusinghiera rispetto alla prima: Il cattivo poeta è un film che tratta di inquietudine, di lotta e di rivoluzione (una rivoluzione che non è lotta ma che è forza del pensiero, integrità della propria morale), ma anche una pellicola che tratta del delicato tema del fascismo, del suo rapporto con ogni componente della realtà che potesse essere preso in considerazione. In quanto tale, la pellicola sembra essere manchevole di molti aspetti: auto-esiliata in una narrazione quasi eterea di molti aspetti, il film sembra essere più dannunziano del personaggio di cui parla, spesso cedendo a rappresentazioni lontane della realtà sociale del tempo e ricercando, in una rappresentazione del Vate ideale, la sua unica vocazione, per quanto lo spazio alle diverse sottotrame – trattate mai con chiara definizione – si apra in diverse occasioni.

Sergio Castellitto e non solo: il pregio degli attori

C’è da sottolineare un ulteriore aspetto a proposito della pellicola, che non sembra mai essere diretta e sceneggiata nel migliore dei modi ma che lascia spazio ad un’interpretazione fedele e chiara di ognuno dei suoi personaggi. Eccezion fatta per la trattazione, fugace, di Benito Mussolini che sembra essere goffa e quasi parodica, gli attori hanno saputo perfettamente rendere sullo schermo, funzionando alla perfezione soprattutto per i tempi della loro recitazione, il senso di ogni loro battuta e la discrezione di sguardi, rapporti e parole.

Spendere parole per Sergio Castellitto apparirebbe quasi banale: l’attore rappresenta uno dei volti più importanti e rappresentativi che si siano mai distinti all’interno della cultura cinematografica italiana e questo ennesimo ruolo funziona come conferma ideale del suo talento che, ormai, non può neanche più dirsi tale. Note particolarmente positive per Elena Bucci e, soprattutto, Francesco Patanè, di cui risulta essere evidente la formazione teatrale: rappresentare un Giovanni Cosimi determinato ma atterrito, continuamente in bilico nel suo ardore e, infine, latitante nell’animo fascista non era certamente semplice e il rischio di una trattazione erronea era più alto della consapevolezza di un ruolo magistralmente reso. Nel suo caso, si può essere fortunati nel dir bene della sua interpretazione che, unita a quella di Castellitto, occupa gran parte del giudizio positivo a proposito del film.

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Bruno Santini
Laureando in comunicazione e marketing, copywriter presso la Wolf Agency di Moncalieri (TO) e grande estimatore delle geometrie wesandersoniane. Amante del cinema in tutte le sue definizioni ed esperto in news di attualità, recensioni e approfondimenti.