Recensione – Everything Everywhere All at Once: il multiverso secondo i Daniels

Recensione del nuovo film dei Daniels: Everything Everywhere All at Once, incentrato sul multiverso

Everything Everywhere All at Once è il nuovo film prodotto dalla casa indipendente A24 e diretto dai Daniels, già autori di Swiss Army Man, commedia demenziale con protagonisti Daniel Radcliffe e Paul Dano; distribuito nelle sale italiane grazie a I Wonder Pictures a partire dal 6 ottobre, dopo il successo americano che lo ha già visto sbancare al botteghino nel periodo da marzo a maggio circa. Il film infatti rappresenta il più grande successo commerciale della casa di produzione A24, e negli Stati Uniti la pellicola dei Daniels è riuscita a mettere d’accordo pubblico e critica come dimostra la percentuale su Rotten Tomatoes che è rispettivamente di 97% e 93%. In Italia l’accoglienza al momento è decisamente più tiepida. Ecco la recensione di Everything Everywhere All at Once, il multiverso secondo i Daniels.

Everything Everywhere All at Once, la trama del film sul multiverso

Di cosa parla Everything Everywhere All at Once? Parte come un classico dramma familiare di cui la protagonista è Evelyn Quan Wang (Michelle Yeoh), moglie di Waymond Wang (Jonathan Ke Quan) e madre di Joy (Stephanie Hsu). La famiglia cinese è ormai emigrata negli Stati Uniti da anni, tant’è che Joy ha difficoltà a mantenere alta la qualità del suo cinese parlato. Gli eventi iniziano a prendere una strana piega quando il padre di Evelyn va a trovarli: le difficoltà riscontrate saranno di natura differente, da quelle economiche, passando per il divorzio, terminando con la presentazione ufficiale della fidanzata di Joy al nonno.

Lo scontro generazionale è il tema portante della pellicola, ma per affrontarla i registi decidono di servirsi di un espediente narrativo piuttosto particolare e parecchio in voga di questo periodo: il multiverso. Infatti durante un colloquio con l’ispettore del lavoro Deirdre Beaubeirdre (Jamie Lee Curtis) che desta non poca preoccupazione ad Evelyn, si ritrova improvvisamente in uno sgabuzzino e a spiegarle la situazione sarà suo marito… che non è suo marito!

Si viene a conoscenza del concetto di multiverso e ce n’è uno da cui tutto ha origine pare, denominato Alphaverso, in cui l’Alpha Evelyn era una scienziata brillante a tal punto da scoprire il salto multiversale, grazie alla tecnologia che permette alle persone di accedere alle abilità, ai ricordi e al corpo delle loro controparti dell’universo parallelo soddisfacendo delle particolari e bizzarre condizioni. Dunque tutto ciò verrà spiegato dall’Alpha Waymond all’Evelyn che lo spettatore conosce all’inizio del film; da quel momento in avanti sarà una vera e propria guerra familiare nel multiverso minacciato da Jobu Tupaki, la versione Alphaverso di Joy. La ragazzina ha la mente frantumata a seguito di un incidente e ora ha le abilità eccezionali di essere tutto e ovunque.

La recensione di Everything Everywhere All at Once, il nuovo film della A24 diretto dai Daniels

Everything Everywhere All at Once è un film figlio del post moderno, ma nella vana speranza di essere tutto – cinecomic, serialità, videoclip, fumetto, numerosi generi cinematografici − finisce per risultare estremamente vuoto. I Daniels sfruttano l’espediente narrativo, tra l’altro in voga grazie al MCU, del multiverso per tentare di raccontare un dramma familiare. La tematica dell’emigrazione e delle difficoltà che una famiglia non statunitense può riscontrare in America così come in altri paesi, viene banalizzata dopo i 10 minuti iniziali di storia. Dall’entrata in scena di Alpha Waymond si interrompe qualunque tentativo di raccontare, di mettere in scena una tesi ed una antitesi, per scadere nel mero onanismo dato dal pazzo mix, quanto superfluo, di generi cinematografici.

La spettacolarizzazione delle scene d’azione avviene in ogni universo del film, passando dalle arti marziali alle dita hot-dog, fagocitando lo spettatore a riconoscere la citazione di turno, che sia Ratatouille o In the mood for love. Il problema è che tutto ciò si allontana dal linguaggio cinematografico. Non bastano un montaggio fluido tra le inquadrature e delle belle coreografie a fare un film, anzi, la scelta di cosa inquadrare e come inquadrare dovrebbe risultare fondamentale per trasmettere un’emozione e/o un concetto a chi usufruisce dell’immagini mostrate. Al contrario, qui si sceglie di spedire lo spettatore in un mondo totalmente schizzato i cui infiniti universi sono racchiusi in un Bagel nichilista che ha il potere di annullare tutto ciò che si conosce e si guarda con consapevolezza, spiegando e giustificando didascalicamente qualsiasi tipo di evento. Ebbene sì, nel multiverso le possibilità sono infinite e ne consegue che qualunque decesso, discussione, relazione, è soltanto un frammento messo in scena ai fini della sorpresa e dell’intrattenimento ma non segnano un motivo di crescita e di consapevolezza per Evelyn.

Questi meccanismi appena descritti rappresentano un linguaggio più vicino alla serialità e al mondo del fumetto per l’eccessivo didascalismo, per la durata abbondante di 2 ore e 20 che punterebbe ad ampliare la storia e i suoi personaggi ma che invece vive di “spiegoni”, inseriti ogni 30 o 40 minuti circa per far proseguire leggermente in avanti gli eventi; il minutaggio restante è occupato dall’azione e dai “What If?”, che inevitabilmente diventano una caccia alla citazione e dei riempitivi, siccome il dramma viene da subito banalizzato. Nonostante la specialità dell’Evelyn protagonista del film sia quella di essere un fallimento totale, significa che le ramificazioni della sua personalità l’hanno portata al successo in modi sempre diversi in ogni universo. Allo spettatore ciò viene fatto presente sia nei dialoghi che nell’effettiva dimostrazione delle immagini descritte: il risultato è ingolfato, ripetitivo all’ennesima potenza.

Le serie tv usano spesso ricordare i momenti chiave e puntualmente vengono riproposti esattamente in questa maniera, sia nei dialoghi che scenicamente. Nel fumetto ci sono diverse storie su uno stesso personaggio; nei cinecomic ora c’è la questione delle varianti di uno stesso personaggio e la possibilità di godersi un’infinita possibilità di narrazioni. Ecco i meccanismi inseriti in Everything Everywhere All at Once. La storia principale riguarda un rapporto inclinato tra madre, padre e figlia, esteso su più universi. La risoluzione avviene nell’atto finale, ed anche lì si sceglie di perdersi in 15 minuti di dialogo tra Evelyn e Joy con tanto di risposta in termini di azione, a ciò che si dicono, nei differenti mondi che ci sono stati mostrati per tutto il film. Oltre ad avere una morale semplificata come più non si poteva, i registi sono stati capaci di depotenziare le 2 ore e 5 mostrate fino a quel momento rendendo la scena anti climatica, eccessivamente parlata, con una scrittura fin troppo elementare per giunta.

Insomma, Everything Everywhere All at Once è un film messo in piedi per divertire, ma il modo in cui le immagini vengono prodotte sullo schermo non garantiscono nemmeno l’intrattenimento, oltre che un contenuto. Cari Daniels, complimenti per lo sforzo, ma l’arte richiede prima di tutto un’urgenza creativa, qualcosa da raccontare; si è scelta la facile strada dello sfruttare le tendenze e la mescolanza dei generi con tanto di citazioni per far esaltare qualcuno, rendendo il post moderno assolutamente fine a sé stesso in questa occasione. Questo film poteva farsi carico di una denuncia sociale, ossia che nell’epoca contemporanea possiamo essere tutti in qualunque luogo e virtualmente assumere un’identità diversa; oppure ancora che la figura del prosumer oggi giorno sta portando in streaming e in sala una quantità incredibile di prodotti, ma che per qualità non risultano sempre convincenti e finiscono per impigrire uno spettatore parzialmente senza stimoli. Tutto ciò, Everything Everywhere All at Once, non lo sfiora nemmeno… si perde in chiacchiere da bar, che è decisamente peggio.

About the Author

Christian D'Avanzo
Cinefilo dalla nascita e scrittore appassionato. Credo fermamente nel potere dell'informazione e della consapevolezza. Da un anno caporedattore della redazione online di Quart4 Parete, tra una recensione e l'altro. Recente laureato in scienze della comunicazione - cinema e televisione presso l'università degli Studi Suor Orsola Benincasa.