Inside di Bo Burnham è un capolavoro (ma potrebbe non far ridere)

In quello che è probabilmente il suo ultimo impegno in una carriera ricca di difficoltà e di problemi personali e professionali, Bo Burnham ha mostrato il lato più intimo e spettacolare di sé. Netflix ha accolto il terzo speciale di Bo Burnham, passato alla storia come stand up comedian e cantautore, oltre che per essere un validissimo comico, autore e attore. Nel suo terzo speciale – Inside – lo statunitense ha deciso di fare addirittura qualcosa in più: ha scritto, editato, diretto, sceneggiato e realizzato ogni parte cantata e suonata del suo spettacolo, uscito sulla nota piattaforma di streaming Netflix e in grado di fare la gioia di tutti i fan dello stand up comedian. Ebbene, c’è qualcosa che – fondamentalmente – emerge dall’ultimo spettacolo di Bo Burnham: non si ride, almeno non a crepapelle come in what e make happy, e l’intento non è quello di suscitare una risata facile ed elementare. Nonostante questo, Inside è un capolavoro di grandissima importanza, che merita la sua trattazione.

I temi trattati da Bo Burnham nel suo Inside

Il terzo speciale di Bo Burnham si apre con un interrogativo che risulta essere mantra della sua realizzazione e che, allo stesso tempo, determina anche la realtà e la qualità dei contenuti che si possono osservare all’interno dello spettacolo comico: si può far ridere in un momento storico come quello attuale? E’ davvero giusto offrire barzellette per sdrammatizzare questa tipologia di realtà? Per quanto il mestiere del comico sia proprio quello di far ridere, non si può certamente pensare di essere estranei a una logica di contemporaneità che – in alcuni soggetti e date certe situazioni – può provocare una negatività in alcuni casi evidente, depressiva e particolarmente marcata.

Sulla base di questa consapevolezza, il comico e cantautore statunitense si lascia andare ad una serie di temi che riguardano storicamente la realtà contemporanea, affrontata in modo lucido e particolarmente pungente, più che negli altri spettacoli. Da Jezz Bezos al sexting, passando per la realtà dei social network e di Instagram; e ancora, le videochiamate e la pandemia, il Coronavirus e il suo costringere ognuno in casa, i video react, gli youtuber e gli streamer, la depressione, il pianto e la voglia di evadere durante il lockdown. Si tratta di temi che, naturalmente, potrebbero riguardare ogni personalità in un momento storico incredibilmente difficile dal punto di vista umano e sociale; allo stesso tempo, gli stessi sono affrontati nella cornice riuscita della stanza chiusa, ricca di strumenti e caos, in cui Bo Burnham vive.

L’evolversi del racconto del comico funziona anche e soprattutto attraverso il suo aspetto fisico: il volto pulito del venticinquenne Bo Burnham osservato in make happy diventa, gradualmente, ricolmo di barba e capelli lunghi; il trentenne comico vive in diretta quello che ritiene essere un obiettivo importante della sua vita e lo fa a seguito di una preparazione che dura più di un anno, per quanto inizialmente prevista in un numero massimo di due mesi.

L’evoluzione di Bo Burnham in Inside, lo show che non vuole far ridere lo spettatore

Inside rappresenta un picco importante nella carriera di Bo Burnham che, a seguito di due spettacoli in cui non ridere a crepapelle risultava essere piuttosto difficile, regala allo spettatore un modo di intendere la realtà comica che sia completamente innovativo e, allo stesso tempo, non gradito a tutti. Chi osserva uno spettacolo comico si aspetta, probabilmente, di ridere, pur coscio del fatto che ciò potrebbe non succedere durante tutta la durata di uno speciale. Con lo statunitense questa consapevolezza si evolve immediatamente e diventa tutt’altro: si osserva fin da subito che Bo Burnham non vuole far ridere, se non in sprazzi del suo spettacolo, ma comunicare un disagio e una sensazione di depressione e oppressione sempre più crescente e avvolgente, che domina anche il comico stesso.

“I’m… not… well” ammette il comico nelle ultime battute del suo spettacolo, lasciandosi andare a un pianto di sfogo, che commuove lo spettatore e lo lascia stranito rispetto alla portata di ciò che sta osservando. Ancora una volta, dunque, è giusto chiederselo: è davvero giusto ridere per tutto ciò che si sta osservando e per il momento in cui si vive? La propria risposta, alla fine dello spettacolo, diventa più matura: si sorride e non si ride più, la propria reazione diventa amara anche nei momenti di ilarità; esiste un’empatia e una compartecipazione emotiva che funzionano perfettamente, a seguito di un indirizzo costante a cui mira lo stesso comico statunitense, in grado di assoggettare lo spettatore al suo volere.

In una realtà mediatica che vede lo stand up comedian essere schiavo della risata facile da provocare, della battuta scontata, delle urla, delle smorfie o della mimica facciale, Bo Burnham accetta di tornare nel mondo dello spettacolo che nel 2016 aveva abbandonato per depressione e crisi di panico che lo costringevano alla sofferenza. Il suo ritorno, però, è più vicino a un pregevole canto del cigno che a una voglia di dare spettacolo in maniera egregia: in questo senso, Inside è un capolavoro e guardarlo ridendo sguaiatamente potrebbe risultare un insulto rispetto a questa materia.

About the Author

Bruno Santini
Laureando in comunicazione e marketing, copywriter presso la Wolf Agency di Moncalieri (TO) e grande estimatore delle geometrie wesandersoniane. Amante del cinema in tutte le sue definizioni ed esperto in news di attualità, recensioni e approfondimenti.