James Cameron è un regista canadese che ha opera in America dagli anni Ottanta, ed è ancora in attività, come dimostra Avatar: La Via dell’Acqua. Infatti, si tratta di un autore che riesce a impregnare i suoi film di grandiose intuizioni tecniche in grado di rendere perfettamente credibile la costruzione dei mondi e la loro successiva distruzione. Cameron ama costruire un background chiaro, fantasioso e solido per tematiche e carica metaforica. Il suo approccio al cinema è di servirsi del linguaggio di quest’arte per poter inserire delle riflessioni sulla società contemporanea. Questo discorso vale per ogni suo film che esce in epoche diverse, spalmati nel corso di quarant’anni: all’interno di storie prettamente umane c’è sempre un grande disegno pensato ed evidenziato da James Cameron. Non è un caso che i suoi film sono ritenuti commerciali, quindi amati dal grande pubblico in maniera meravigliosa diffusa, tanto da incassare sempre cifre considerevoli. Tre dei suoi film sono tra i maggiori incassi della storia del cinema, senza contare l’inflazione, ossia Titanic (1997), Avatar: La Via dell’Acqua (2009) e Avatar (2022). Anche la critica stravede per questo approccio di Cameron in grado di mescolare la sua personalità d’autore con delle storie appetibili per tutti, in grado di immergersi nel racconto immedesimandosi nei personaggi. Ma su nove titoli, fare una classifica è un’impresa tanto ardua? Di seguito i film di James Cameron dal peggiore al migliore, in ordine qualitativo.
La classifica dei film di James Cameron
Il 1982 è l’anno d’esordio di James Cameron, ma il suo primo film è su commissione e si nota. I successi partono appena due anni dopo con il primo Terminator, fino ad arrivare all’incredibile riscontro degli ultimi tre film che ha girato il regista canadese. Di seguito la classifica dei peggiori e dei migliori film di James Cameron, ordinati per importanza, qualità, compattezza.
9. Piraña paura (1982)
Il peggior film di James Cameron non poteva che essere un seguito su commissione, anche se persino in questo brusco esordio si può ritrovare qualche stilema o tematica appartenente al cinema del regista canadese. Piraña paura non è nemmeno lontanamente riuscito e sfida persino la pazienza dello spettatore odierno per quanto è invecchiato male. I piraña non sono credibili per ciò che riguarda gli effetti digitali: la computer grafica è piuttosto posticcia, persino nella scena di sesso iniziale sott’acqua. Ma la metamorfosi in creature più pericolose e meglio dotato rispetto ai normali pesci conosciuti nella vita reale, rendono accattivante la presenza di questi animali per la tensione generata dalla maniera di inquadrare di Cameron.
Non c’è dubbio che si tratti di un film posticcio e incredibilmente artificioso, ma ad oggi sembra essere stato un ottimo esercizio per il regista, consentendogli di esercitarsi dietro la macchina da presa. L’acqua è quasi un’ossessione per lui, e ambientare un thriller dalle sfumature horror proprio nelle acque profonde non può che rappresentare un’occasione di osare e spingere sui movimenti della cinepresa a generare sensazioni. Peccato per la computer grafica pessima in quasi tutti i momenti del film, compresa l’esplosione finale, anche quella molto “cameroniana”, tanto che la distruzione dei mondi nel suo cinema hanno influenzato l’approccio di Michael Bay e Christopher Nolan.
8. True Lies (1994)
A proposito di esplosioni e spettacolarità, film degli anni Novanta che è riuscito ad entrare in un attimo nell’immaginario collettivo americano. In un’epoca in cui si temono le escursioni straniere in casa propria, al pari dei pellerossa nei western in quanto minaccia esterna, anche gli islamici post Guerra Fredda mostrano gli strascichi degli Stati Uniti preoccupati e incerti a seguito dei conflitti, tra cui quello sanguinolento del Vietnam. Arnold Schwarzenegger è una spia sotto copertura che scopre il (quasi) tradimento della moglie interpretata da una fantastica Jamie Lee Curtis, sfoggiando due performance divertite e divertente.
La coppia su schermo rende benissimo sia nelle sfumature da commedia con elementi camp in alcuni tratti, dimostrandosi perfettamente affiatata nel rappresentare una crisi matrimoniale legata ai segreti del personaggio dell’attore tedesco. Ciò è rimarcato nel titolo, siccome le bugie del film tendono ad avverarsi intrattenendo lo spettatore per comicità e spettacolarizzazione delle sequenze action. Ma come quando è diretto dal regista canadese, Schwarzenegger da il meglio di sé. Seduzione, violenza ben congegnata per enfasi, una tensione di coppia che può ricollegarsi a Caccia al Ladro di Hitchcock, o una serie di inceppi più grandi dell’individualità dei personaggi, ricordano vagamente Intrigo Internazionale. Forse eccessivo nella durata, ma True Lies non è mai invecchiato per l’uso degli effetti speciali e per lo svago offerto a chi guardo.
7. The Abyss (1989)
Altra tematica preponderante nel cinema di James Cameron è la macchina come prolungamento del corpo dell’uomo. In questo caso negli abissi dell’oceano, che torna così protagonista, ha luogo la folle avventura che vede protagonista un corpo di marines e ricercatori, distinguendo tra muscoli e intelletto negli uomini. Il regista canadese si presenta al suo quarto film cercando di ripercorrere quanto visto nei precedenti, e per questo ancora una volta la scenografia del sottomarino è in realtà più di un semplice sfondo dove agiscono i personaggi.
Gli stessi personaggi sono rinchiusi in questa gabbia di metallo situata nell’abisso delle acque, ed è grazie alla loro speciale tecnologia che in determinate occasioni possono sopravvivere per fronteggiare i problemi presenti. Così il corpo umano prende un’altra forma, si “allunga” come se fosse dotato di una protesi meccanica, abilmente rese visivamente dagli effetti visivi o dalle ricostruzioni vere e proprie. La minaccia esterna inizialmente sembra essere portata dagli alieni, che al contrario di quanto mostrato dal cinema e dalla letteratura fino a quel momento, provengono dal basso (oceano) e non dall’alto (cielo).
Nonostante la possibilità di entrare in contatto con le creature, gli uomini credono si tratti di un pericolo enorme e preferisco essere conservatori. Infatti, il pericolo più grande proviene dall’interno ed è relativo alla possibilità di tradire i propri compagni per soldi. Ancora una volta, nei film di Cameron sono gli uomini i veri nemici e il denaro ha un compito ben preciso nella tentazione e nella messa in evidenza di valori al ribasso. Il finale sottolinea l’apertura mentale verso gli alieni, simbolo della diversità del prossimo a cui bisogna aprirsi senza temere nulla, poiché il vero pericolo può generarsi anche nella stessa comunità di persone uguali o simili.
6. Terminator (1984)
Il cyborg assassino inviato da Skynet nel passato è interpretato da un in formissima Arnold Schwarzenegger è il nucleo portante del primo Terminator, anche primo cult sfornato dalla mente geniale di James Cameron. Infatti, l’attore qui è una maschera dallo sguardo impenetrabile e in grado di mettere in soggezione chi lo osserva, anche solo con il gesto di muovere il collo. Fautore della fantascienza cyberpunk, il film del regista canadese presenta diverse peculiarità che lo hanno contraddistinto tanto da essere amato dal pubblico e dalla critica, come Cameron d’altronde è solito fare con le sue opere. La violenza è parossistica per quanto accentuata ma è l’estetica dei personaggi, massima appropriazione del cinema di Cameron, a rendere formidabile la narrazione piuttosto semplice del film. Le battute del film dimostrano come il regista sia un abile battutista, realizzando tra questo e il suo sequel, ma come in ogni film, dei dialoghi talmente efficaci da essere utilizzate anche nella vita reale.
Terminator entra di prepotenza nell’immaginario collettivo, anche perché è come se fosse una proiezione nel futuro dell’umanità: la società viene meno a causa della tecnologia, la guerra è il motore d’azione per permettere al protagonista di cercare Sarah Connor e porre fine all’esistenza della donna in quanto madre. Madre di chi? Di colui che darà vita alla ribellione, e sin dalla presentazione si comprendono difficoltà e obiettivi delle due parti in guerra nel tempo. La carne viene squarciata dalle componenti robotiche e dai cip, in grado di generare una vita a sé stante a dispetto di quella conosciuta nella realtà. Il virtuale-digitale si fa concreto, e gli effetti visivi del film sono sempre convincenti.
5. Terminator 2 – Il giorno del giudizio (1991)
Il seguito si avvale di tutto quanto scritto sul primo capitolo, ma avvalora ancora di più la figura della donna incarnata da Sarah Connor. Lei in quanto madre ha sì un sentimento d’amore immenso per il figlio e la sua esistenza pare finalizzata alla protezione, ma sa essere anche una vera e propria guerriera dopo il primo film. Infatti, la sua aria mascolina è accompagnata da un corpo allenato, messo nelle condizioni di rispondere agli attacchi. Anche psicologicamente è pronta a tutto, addirittura a sacrificare sé stessa per un bene più grande. “Hasta la vista, baby” è il classico esempio di quelle battute scritte dal regista canadese in grado di restare impresse nella storia per come vengono contestualizzate a pennello dall’autore.
I 91 milioni spesi lasciano impallidire altre produzioni ben più “pesanti” in termini di investimento, grazie alle tecniche di CGI rivoluzionarie portate da Cameron tramite la ILM, azienda diretta da George Lucas sugli effetti speciali. Con l’alta tensione dell’incipit c’è un’immediata sovversione dei ruoli che genera un senso di sorpresa misto a curiosità per conoscere gli sviluppi. Il villain presenta una tecnologica robotica liquida, e la stessa liquidità è un altro tema portante della filmografia di James Cameron. Le componenti meccaniche si fanno più leggere, quasi più astratte e dunque potenti. La minaccia che incombe è superiore al film predecessore, ma è la psicologia dei personaggi a risultare più approfondita e interessante nelle riflessioni portate.
Dal punto di vista registico si va oltre il mero intrattenimento, ogni sequenza d’azione è cristallina per enfasi e pulizia di movimento, resa ben fluida anche dal montaggio. L’autoironia smorza la drammaticità degli eventi, e ancora una volta Cameron si conferma un genio assoluto nella confezione e nella proposizione delle tematiche, inglobate da una storia da vendere a tutti, letteralmente.
4. Avatar (2009)
Un kolossal mastodontico per portata e investimento, ma l’incasso è il maggiore di tutta la storia del cinema senza contare l’inflazione. Cameron va oltre la semplice produzione di un film commercialmente appetibile al grande pubblico, ma genera un passa parola entusiastico che non può non essere considerato come un valore extra all’analisi del film in quanto tale. Successo al botteghino, ma soprattutto successo per tecnica e narrazione. Per ciò che riguarda il primo aspetto, è rivoluzionario l’uso delle tecnologie 3D per come vengono usate nel film, offrendo allo spettatore una vera e propria esperienza.
Infatti, la profondità di campo e le inquadrature di quinta risaltano il mondo creato ex novo di Pandora, che il regista costruisce man mano narrando le imprese umane, in grado di portare un grosso gruppo di uomini e donne su un nuovo pianeta. Gli obiettivi differiscono in base alla tipologia e al ruolo di persona. Ai marines importa solo l’uso dei muscoli per prendersi con la forza ciò di cui hanno bisogno per guadagnare miliardi e miliardi di dollari una volta tornati a casa; per gli scienziati è un’opportunità unica di conoscere nuovi usi e costumi di una tribù indigena quale è quella dei Na’vi. Attraverso Jake, un ex soldato rimasto invalido durante la guerra che va a sostituire il suo gemello in questa missione, lo spettatore ricava informazioni sulla tribù e le usanze.
L’uomo è la vera minaccia, siccome pur di trarre profitto da ciò che è presente in natura non si fa problemi ad uccidere la vita e l’ambiente. Al contrario, Jake si innamora profondamente dei Na’vi e della loro vita, e fino all’ultimo tenta di sradicare la cattiveria umana per porre fino al conflitto. Ma nonostante fosse inizialmente stato mandato dal colonnello Miles Quaritch per riportare i punti deboli degli indigeni, riesce a riconquistare la fiducia di questi ultimi dopo averla tradita. Lui ha il potere di richiamare la natura in aiuto, non più una scenografia passiva ma evidentemente attiva nell’avvincente e spettacolare battaglia finale. Dialogo con la natura; diverse declinazioni della donna tra scienziata, guerriera, stregona e saggia; costruzione e decostruzione di un mondo cinematografico; evoluzione tecnica: James Cameron.
3. Avatar: La Via dell’Acqua (2022)
Il sequel riesce a ripetere a distanza di 13 anni la stessa impresa del primo capitolo, ma Cameron rinnova ancora una volta il linguaggio cinematografico per tecnica ed esperienza unica tutta da vivere in sala. La più grande lettera d’amore per il cinema è portare la gente al cinema in un momento di crisi, realizzando un film che necessita la visione dell’IMAX 3D, praticamente imprescindibile. Le sequenze sembrano proporre il linguaggio videoludico, mentre la durata e l’intersecarsi delle varie sottotrame appartengono alla serialità. Cameron mescola modalità tecniche e visive, portando la tecnologia e gli attori sott’acqua per incrementare il senso di stupore e di meraviglia di fronte le immagini consumate al cinema.
Lo spettatore è così travolto e avvolto, immerso in un mondo tutto nuovo: Pandora è tutta da esplorare, e adesso tocca all’ambiente pervaso dalla vastità degli oceani e dalla sua tribù. Nel contempo si passa dal richiamo al western dell’incipit che riporta la minaccia umana concreta, con un simil attacco alla carovana, al quasi documentario della seconda parte per costruzione di un nuovo mondo all’interno dello stesso mondo del primo film, a dimostrare le possibilità da scoprire man mano. Il colonnello del primo film torna in vita grazie alla creazione di un clone, rendendo fluido il DNA e le immagini date dall’acqua, cucendo perfettamente l’ideale sociologico legata alla storia di questo poderoso sequel.
Dopo una costruzione centrale immersiva e spettacolare per la tecnica adoperata, si ritorna al ritmo forsennato nella parte finale dove gli uomini trovano un’altra fonte di guadagno nella caccia ai Tulkun, animali simili alle balene con i quali i personaggi instaurano un legame totalmente empatico. La scenografia è digitale quanto naturale negli intenti, e ancora una volta si rende attiva nell’azione soprattutto nella battaglia finale. Oltre il rispetto per la natura, c’è spazio per il dialogo tra tradizione e innovazione, tra vecchia generazione e nuova, dunque padri e figli.
Sul finale sia il colonnello che Jake, la cui guerra ha generato morte e distruzione a distanza di tempo dagli eventi del primo capitolo, hanno la loro catarsi dialogando con i rispettivi figli. Ma il nuovo passa anche per l’accettazione del diverso, e questo film narra anche di eventi legati all’accoglienza dei naufraghi e di una figura femminile vicina a quella cristologica per importanza nel dialogo con l’ambiente. L’immaginario di Avatar viene così espanso, ma restano ancora da approfondire elementi nel futuro.
2. Aliens – Scontro finale (1986)
Nella magnifica eredità lasciata da James Cameron rientra Aliens, seguito di Alien di Ridley Scott. Un maestro prosegue l’opera di un altro maestro, generando a sua volta un capolavoro di un capolavoro. Il regista canadese capta perfettamente il senso del primo capitolo e ne cuce un sequel di pari livello pur andando su un altro genere cinematografico: l’azione. Le graticole della nave spaziale, scenografia del film, aumentano il senso di tensione nello spettatore siccome la minaccia viene qui moltiplicata e può invadere lo spazio in qualsiasi momento. Ripley è sopravvissuta, e Cameron la pone in alto rispetto ai marines grotteschi che invece tendono a voler indagare, uccidere e portare a termine il possibile conflitto con gli xenomorfi.
L’astronave diventa utero siccome c’è un alieno femmina che sta dando vita a innumerevoli figli a caccia di vite umane per nutrirsi, data la loro natura da predatori (tema già ricorrente nel primo capitolo). Cameron fa sì che Ripley, in quanto donna guerriera, diventi madre putativa di una bambina trovata in vita sulla navicella. Viene quasi invertito il percorso visto di Sarah Connor in Terminator. Ripley, memore dell’esperienza passata, è esausta e vuole combattere per liberarsi definitivamente degli scheletri nell’armadio e vivere in maniera più spensierata dopo traumi e tragedie vissute tra i due film. Le scene d’azione sono formidabili tra soggettive immersive come se fossero inquadrature videoludiche (Cameron già pensa al linguaggio dei videogiochi 30 anni prima del secondo Avatar) e macchina a mano nevrotica in grado di incrementare la già alta tensione.
Il corpo umano di Ripley viene prolungato dalla macchina futuristica, che Avatar stesso richiamerà nell’estetica, in modo tale da affrontare fisicamente la xenomorfa madre. Anche il corpo di quest’ultima è legata a tutta la nave, che diventa così metaforicamente e concretamente il suo utero generatore di vita. Se nel primo Alien c’è il thriller con l’horror, qui c’è il thriller con l’azione. C’è anche possibilità di redenzione per la tecnologia con l’androide qui presente, quasi una catarsi per il gemello cattivo del primo film programmato da altri esseri umani per riportare vite aliene sulla Terra anche sacrificando il personale di bordo. Battute scritte da Cameron, ancora una volta ricordate nell’immaginario collettivo.
1. Titanic (1997)
Titanic è la più grande eredità lasciata dal cinema di Cameron. Nonostante sia datato 1997, è incredibile come stia superando la prova del tempo collocandosi tra i più grandi esempi tecnici-narrativi per la ricostruzione cinematografica di un kolossal. La tragedia viene rappresentata e lasciata vivere dagli spettatori attraverso il punto di vista della coppia di innamorati, Jake e Rose, appartenenti a due classi sociali differenti e in contrasto tra loro: poveri e ricchi. Dal punto di vista registico, la presentazione di Cameron induce subito a riflettere su orizzontalità e verticalità, lavoro minuzioso che rende perfettamente l’idea di una comunicazione tra alto e bassa necessaria ma non ancora presente. Infatti, la parte più bassa del transatlantico è un inferno dove i suoi motori vengono azionati con prontezza dagli impiegati infaticabili; la parte alta è un paradiso avvolgente nel suo azzurro tra cielo e acqua, dove saltano persino i delfini. Tecnicamente un vero e proprio prodigio come tutti i film di Cameron, brillando per effetti visivi e montaggio fluido tra tagli morphing e dissolvenze. La dilatazione temporale del flashback, assume il significato di film nel film, e vivere col cuore una tragedia distoglie lo sguardo da interessi economici legati al gioiello in questione, chiamato il “Cuore dell’Oceano”.
Jack e Rose, interpretati dai giovani Leonardo DiCaprio e Kate Winslet, mostrano tutte le differenze di classe ma anche la potenza individuale di ciascuna persona esistente. Infatti, sono le azioni e il carattere di ognuno a prevalere, non la ricchezza o la povertà in quanto tale. L’uomo ancora una volta è il nemico di sé stesso nel cinema di Cameron, e difetti come la superficialità, l’ingordigia e la prevaricazione nei confronti dell’altro non fanno altro che riflettersi sulla frattura inguaribile provocata alla nave dell’iceberg. Non c’è scampo, la nave affonda e la seconda metà di film si fa claustrofobica e ricca di tensione, con un finale dal grande pathos culminato nella catarsi di Rose. La stessa Rose è una figura femminile prodigiosa: nel dialogo con la madre mettere in risalto la sua energia in azione e la sua voglia di evadere dallo stato sociale di donna ingabbiata e costretto al matrimonio per interesse economico, dunque sopravvivenza. La vera vita è altro, e lei lo capisce. Jack la salva in tutti i modi possibili, come stesso il personaggio di Rose ammette, e sul finale l’anima dell’anziana si ricongiunge con chi è rimasto sul Titanic. Allo stesso tempo, però, tutte queste caratteristiche erano già nella ragazza, Jack le ha risvegliate e portate alla luce. Rose era metaforicamente morta e rinata prima e durante l’affondo, e il finale evidenzia il passo.