Recensione – Aftersun: il film di Charlotte Wells su MUBI

La recensione di Aftersun, il nuovo film streaming su Mubi

Aftersun è un film drammatico del 2022, ma distribuito in Italia solo nel 2023. Infatti, l’opera è disponibile in streaming su MUBI dal 6 gennaio, ma al cinema è passato in Gran Bretagna e negli Stati Uniti lo scorso anno, tra ottobre e novembre; diretto da Charlotte Wells con Paul Mescal e Frankie Corio protagonisti. Il film è stato anche preso in considerazione in qualche categoria nelle longlists dei prossimi Bafta. Ecco la trama e la recensione del film Aftersun, di Charlotte Wells.

La trama di Aftersun, film drammatico disponibile su Mubi

Ambientato verso la fine degli anni ’90, Aftersun racconta la storia di Sophie (Frankie Corio), una ragazzina di undici anni, e di suo padre Calum (Paul Mescal). I due decidono di trascorrere le vacanze estive in una località balneare in Turchia, in un hotel abbastanza decadente, frequentato per lo più da inglesi dove passano le giornate a nuotare, giocare a biliardo e a godersi la compagnia l’uno dell’altra. Sophie e suo padre vanno molto d’accordo e la loro sintonia li rende due complici, ma dietro questa immagine bonaria dei due si cela una verità malinconica.

Mentre l’adolescenza di Sophie prende piede, Calum cerca di nasconderle la sua lotta contro il peso della vita al di fuori della paternità e le scelte che ha compiuto, ed è attualmente in preda alla depressione. Vent’anni dopo, i teneri ricordi dell’ultima vacanza di padre e figlia diventano un ritratto potente e straziante del loro rapporto, mentre Sophie cerca di riconciliare il padre che conosceva con l’uomo che non ha mai conosciuto.

La recensione di Aftersun, uno struggente ritratto del rapporto padre-figlia attraverso le immagini della memoria

Incredibile pensare che Aftersun sia un film diretto da un’esordiente per la grande maturità con la quale è pensato; Charlotte Wells innesca un potente rapporto tra la psiche umana, l’emotività e le immagini, dirigendo due attori − e che esordio per Frankie Corio − che danno il loro meglio lavorando per sottrazione ed esprimendo anche con gli occhi il loro trasporto. La potenza del cinema nell’unire le altre arti ricorda, attraverso questo intenso dramma, l’unicità dell’esperienza che gli autori possono regalare agli spettatori. La regista prende spunto dalla sua vita, e da lì ne scaturisce una delicata narrazione sul rapporto padre-figlia scavando nei lontani ricordi dell’ultima estate passata insieme in Turchia. Nell’hotel abbastanza decadente, Calum e Sophie passano il loro tempo tra una nuotata in piscina, una partita a biliardo e dialogano sui propri sentimenti, su quello che avrebbero voluto o quello che vorranno, sottolineando la caducità degli eventi. Il punto focalizzante dell’opera prima della Wells è la distorsione dell’immagine attraverso l’analogico ed il ricordo, in costante comunicazione per tutti i circa 102 minuti di durata. Aftersun si pone come un racconto di formazione senza esserlo, perché la piccola Sophie è in un’età di transizione, tra l’infanzia e l’adolescenza, e i suoi sguardi sono fondamentali per comprendere l’influenza del presente sul futuro. Parallelamente c’è Calum, un padre di 31 anni schiacciato dalla figura stessa della genitorialità e che per questo, tenta di essere un migliore amico per la figlia nonostante non si riescano mai a ritrovare sulla stessa onda emotiva. I sentimenti di entrambi sono effimeri e mutevoli, non consentendogli mai di culminare il loro rapporto in totale armonia: mentre Calum cerca il contatto, Sophie pensa ad altro; viceversa quando Sophie è alla ricerca della complicità paterna, Calum si ritrae. D’altronde per la bambina l’estate rappresenta un momento di massima spensieratezza, e il suo modo di guardare e di percepire il mondo comincia a cambiare, è nella fase pre-formazione. I corpi, la cui idea prima veniva rigettata, assumono un altro significato, anche sessuale, ed il bisogno di passare più tempo da sola piuttosto che col padre si fa impellente.

La regista dona un’aura di retrò alla pellicola, rinunciando alla nitidezza delle immagini in favore di quelle più sgranate, sbiadite e sovrapposte con il montaggio. L’intento è di ricreare un punto di raccordo tra il soggetto e l’oggetto, tra lo sguardo di Sophie ed il padre, perché la vera protagonista è lei che tenta di scavare nei suoi ricordi mentre osserva i vecchi filmini di quell’estate. Così ad un certo punto i flashforward si interrompono per rendere consapevole lo spettatore del presente, ossia una Sophie trentenne che evidentemente ha perso il padre e tenta di ricostruire con materiale d’archivio e fantasia una figura che le risulta misteriosa. Gli elementi della messa in scena fanno riflettere costantemente sul declino di Calum, partendo dal gesso che lascia pensare sin da subito ad una rottura, passando per un rifiuto al karaoke − con la scelta non casuale del brano Losing My Religion − e terminando in un pianto sommesso. Non è dato sapersi troppo, ma quello che si osserva ed ascolta è fondamentale per la ricostruzione dello spettatore attivo, al passo con i fluidi pensieri della ragazzina ormai adulta. La frattura è evidente, il gesso al polso del padre incanala l’idea di un qualcosa che vorrebbe a tutti i costi guarire, ma che fa una fatica quasi incontrovertibile data dalla depressione. Nei dialoghi vengono sparse informazioni fondamentali per comprendere la portata del problema di Calum, per degli amori finiti male, dei genitori assenti, un’omosessualità repressa ed una figlia arrivata troppo presto responsabilizzando quello che all’epoca era solo un giovane uomo. Aftersun presenta molteplici verità, perché fa presente l’impossibilità di averne una assoluta, ed allora se ne crea una che lega padre e figlia felicemente come complici, ma ve n’è anche un’altra basata sul fuoricampo, dove i due sono osservati nella loro solitudine riuscendo ad esprimere loro stessi. Ecco che Sophie è in procinto di cambiare, passando dall’infanzia all’adolescenza e cominciando la sua ascesa nella vita; parallelamente Calum è in declino, in preda a degli attacchi di incurabile malinconia espressa con una camminata nervosa, una fumata, e lo si vede anche dirigersi verso il mare di notte quando nessuno può guardarlo. Inoltre, è quando sa di non essere visto da Sophie che esplicita la sua omosessualità, ma la bambina in realtà lo osserva dal balcone prendendone coscienza.

Aftersun: l’importanza delle immagini

Aftersun è anche un profondo pensiero sul rapporto tra realtà e finzione, ma anche sui progressi dello sguardo, capace di rielaborare le immagini a distanza di anni grazie al bagaglio esperienziale che si riempie, generando nuovi punti di vista su degli stessi elementi. Lo stesso discorso si può fare con l’arte stessa, che siamo in grado di cogliere in più sfaccettature con lo scorrere del tempo e con la maturazione perenne. Nel film di Charlotte Wells, la Sophie adulta tenta di ricordare dando peso a determinati eventi o parole enunciate dal padre ormai scomparso, e con le anche lo spettatore assiste alla narrazione, dando sfogo ad un dialogo impellente tra filmico e profilmico. Lo spettatore è Sophie, Sophie è lo spettatore, entrambi alla ricerca della verità nel film con la frantumazione della vista e dell’effimera realtà. Le inquadrature si alternano tra quelle strette − come a stritolare i personaggi nella finta convinzione di averli compresi così come sono in quell’istante − ad altre di maggior respiro per innescare la volontà di guardare “oltre” fuoricampo, con la consapevolezza di non poterlo cogliere mai del tutto. I riflessi sono un’altra costante visiva nell’opera, perché l‘acqua dà la possibilità di osservare dal basso verso l’alto ciò che è in cielo rendendolo miracolosamente tangibile anche se non lo è, mentre gli specchi e la televisione permettono a più riprese di coesistere contemporaneamente, mostrando più dettagli nonché una diversa rappresentazione dello stesso soggetto.

La liricità delle immagini lascia spazio a qualche stralcio di onirismo, e così facendo Charlotte Wells ricorda a chi osserva di essere immerso nella mente della Sophie adulta che immagine di ballare con suo padre in una discoteca dalle luci psichedeliche, a intermittenza (come i ricordi). E proprio Sophie, è come se fosse diventata specchio, a sua volta, dell’immagine del genitore; tuttavia sembra essere riuscita a differenziarsene e a percorrere la propria strada, innamorata di una donna con la quale è madre di un/a bambino/a. Nonostante questo, l’imminente lutto la tormenta e non può fare a meno di guardarsi indietro. Il finale, struggente, permette di percepire la corrispondenza con il padre ormai andato, muovendo lentamente la macchina da presa nel tentativo di scambiare gli sguardi tra soggetto (Sophie) e oggetto (Calum) mentre prendono strade diverse. Entrambi continuano a scorrere paralleli pur essendosi incrociati, ma per un lasso temporale troppo elusivo che non gli ha permesso di comprendersi a vicenda. L’analogico della vecchia videocamera di Sophie, non è bastata a “ingabbiare” la realtà oggettiva, perché c’è sempre quel pizzico di percezione soggettiva a ridefinire i parametri.

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Christian D'Avanzo
Cinefilo dalla nascita e scrittore appassionato. Credo fermamente nel potere dell'informazione e della consapevolezza. Da un anno caporedattore della redazione online di Quart4 Parete, tra una recensione e l'altro. Recente laureato in scienze della comunicazione - cinema e televisione presso l'università degli Studi Suor Orsola Benincasa.