Recensione – Bussano alla porta: il nuovo film di Shyamalan

La recensione di Bussano alla porta, film di Shyamalan

M. Night Shyamalan torna al cinema con un film distribuito in sala dalla Universal Pictures, a partire dal 2 febbraio 2023. Bussano alla porta è un thriller dalle sfumature horror perché appartenente al sotto genere dell’home invasion. Basato sul libro di Paul Tremblay La Casa alla Fine del Mondo, il film presenta una durata di 100 minuti circa, con un cast che comprende: Dave Bautista, Rupert Grint, Nikki Amuka-Bird, Jonathan Groff, Ben Aldridge, Abby Quinn, Kristen Cui, William Ragsdale. Di seguito la trama e la recensione di Bussano alla porta, il nuovo film di Shyamalan, regista di Old, Il sesto senso e Split.

La trama di Bussano alla porta, l’home invasion di M. Night Shyamalan

Wen (Kristen Cui) assieme ai suoi due papà, Eric e Andrew (Jonathan Groff e Ben Aldridge), vanno a trascorrere una tranquilla vacanza in una casa situata nel bel mezzo dei boschi, completamente isolata dalla realtà urbana ed immersa nella pace della natura. Eppure questa quiete viene minata improvvisamente, nel bel mezzo della cattura degli insetti, la piccola Wen si imbatte in un grosso e robusto uomo di nome Leonard (Dave Bautista), anche se quest’omone si rapporta gentilmente nei confronti della bambina, instaurando il dialogo. Ma Wen intravede altre tre persone (Rupert Grint, Nikki Amuka-Bird e Abby Quinn) in avvicinamento, forniti di strumenti ed oggetti potenzialmente pericolosi ed allarmando perciò la piccola.

Wen corre rapidamente a casa ad avvertire i suoi genitori, Leonard la lascia andare e la bambina urla ai suoi papà che c’è un’imminente minaccia incarnata da quattro sconosciuti che agli occhi di tutti possono sembrare assassini. I due protagonisti inizialmente non credono alla figlia, supponendo sia soltanto frutto della sua immaginazione; però, dovranno ricredersi nel momento in cui i quattro estranei busseranno alla loro porta, intenzionati a entrare in ogni modo possibile. La violenza diventa protagonista in modo piuttosto ambiguo, ma una volta che la minaccia si avvicina si rende dinamicamente concreta, gettando vertiginosamente nel panico i due papà.

Una volta fatta irruzione nella casa, la famigliola composta da Wen, Eric e Andrew viene presa in ostaggio dai quattro sconosciuti armati, pur lasciando la bambina libera di scorrazzare per casa, mentre i due papà si ritrovano legati ad una sedia, immobilizzati. I quattro chiedono alla famiglia di compiere una scelta impensabile per evitare l’Apocalisse a tutta l’umanità: devono sacrificare uno di loro tre. Ma non è finita qui, dato che uno tra la bambina e i suoi papà deve morire, per di più uno dei due mariti o la stessa Wen deve uccidere la vittima prescelta. Con un accesso limitato al mondo esterno, la famigliola deve decidere se credere davvero alle parole dei quattro improvvisatisi Cavalieri dell’Apocalisse prima di perdere uno dei componenti amati.

La recensione di Bussano alla porta, un thriller dal ritmo incalzante

Bussano alla porta è un altro tassello aggiunto da Shyamalan in un puzzle chiaro e da comporre quale è la sua filmografia. I film del regista, infatti, sono segnati da tematiche e trovate visive ricorrenti ma che vengono prontamente rielaborate guidate da una certa consapevolezza dei propri mezzi da parte dell’autore di origini indiane. Anche in questo caso, il genere di partenza viene declinato da un intelligente visione d’insieme che ribalta i ruoli, spiegati esplicitamente nella loro essenza simbolica. Qui il didascalismo è assolutamente giustificato e contestualizzato dalla strada percorsa da ogni personaggio, alla ricerca di una propria verità e ragione logica. Con questo meccanismo attivato per provocare una certa tensione, Bussano alla porta risulta essere notevole anche negli intenti produttivi: è un film perfettamente commerciale ma è anche d’autore. Infatti, il cinema di M. Night Shyamalan difficilmente delude e soprattutto è capace, in modo tutt’altro che scontato, di possedere una potenza sprigionata dalle peculiarità inserite gradualmente nella narrazione. Il cosiddetto colpo di scena alla Shyamalan è un tratto incontrastato del regista, che si è fatto notare dal pubblico e dai produttori per il suo estro nel raccontare una storia potenzialmente banale.

Così come lo scorso film Old, il nuovo Bussano alla porta presenta un motore d’azione apparentemente semplice, e di fatto lo è anche, ma viene farcito da elementi tali da innalzare il livello qualitativo del thriller. Ancora una volta Shyamalan ingabbia i suoi personaggi in un ambiente circoscritto che diventa claustrofobico e nevrotico, e perciò è inevitabile che la messa in scena sottolinei lo sviluppo dei suoi protagonisti. Anche nel modo di inquadrare e di montare il prodotto c’è una certa coerenza: spazio ai dettagli, si sfrutta il primo piano sugli oggetti e i soggetti, richiedendo un’espressività comunicativa non indifferente agli attori. Bautista e compagnia riescono ad esprimere il climax intenso al quale sono sottoposti essendo anche ben diretti dal regista di origini indiane, che qui come negli scorsi lavori distribuiti al cinema, non ha difficoltà nel muovere la macchina da presa con finalità mostrative. Ma sono le scenografie e i costumi ad avere rilevanza, dove sono piazzati anche degli easter egg che rimandano ad altri film girati da Shyamalan stesso; ma oltre tutto, gli oggetti esprimono l’interiorità misteriosa dei personaggi.

Filo conduttore della poetica del regista è il pregiudizio che vige incontrollato nella società in cui si muovono inermi i suoi personaggi. Ma la passività non resta tale dall’inizio alla fine, poiché gradualmente c’è espansione: la comprensione dei fatti che si sono posti bruscamente ed improvvisamente nella vita dei protagonista, è soltanto una questione di punti di vista che vanno collegati. In Bussano alla porta ognuno ha la sua verità di partenza, ma è soltanto attraverso il confronto che viene resa possibile la presa di coscienza. Secondo Andrew, infatti, uno dei quattro sconosciuti è in realtà un uomo con problemi d’alcolismo che lo colpì con una bottiglia di vetro in un bar, mentre la coppia conversava tranquillamente. La sua insistenza sembra convincere Eric, nel frattempo poco lucido a seguito di un colpo alla testa; il trauma cranico confonde le idee all’uomo, che per un attimo intravede una fioca luce squarciante. Questa immagine è soltanto riflesso di una sua percezione soggettiva, che è anche il tipo di inquadratura adottata dal regista in quest’attimo, oppure cela una sinistra verità? Fondamentale utilizzare la soggettiva in quel preciso istante, siccome per il resto del film ce ne sono davvero pochissime. L’obiettivo non è mostrare gli eventi da un punto di vista, ma riprenderne il maggior numero possibile con diverse angolazioni che hanno lo scopo di deformare lo sguardo dello spettatore.

Bussano alla porta: la simbolica parabola sul pregiudizio

L’home invasion in Bussano alla porta è un sotto genere rivoltato: gli assassini non sono realmente assassini o forzatamente cattivi. I quattro sconosciuti si ritrovano a dover entrare nella casa di Andrew, Eric e Wen solo perché mossi da un bene più grande, ossia salvare il mondo intero dall’Apocalisse imminente. La mossa vincente del film, per questo suadente, sta nell’immettere costantemente nuovi dubbi allo spettatore nonché ai protagonisti, giocando con l’ambiguità della morale. Non si saprà fino alla fine se i quattro sono davvero I Cavalieri dell’Apocalisse, con tanto di rappresentazione simbolica come la curatrice e la guida, o se invece sono dei fanatici appartenenti ad una setta avviatasi su internet. La nascita di gruppi di “folli fedeli” con il digitale ha effettivamente portato alla pianificazione di suicidi di massa, omicidi, e quant’altro. Allora è lecito per la coppia supporre che siano stati presi di mira in quanto omosessuali, ed anche perché uno degli uomini è stato già coinvolto in passato in un episodio di violenza. Questa coincidenza rivelata soltanto dopo una serie di scene, instaura un dubbio sulla veridicità dei fatti, traslati in base all’enunciazione proveniente dai differenti personaggi.

La televisione presenta immagini che si frappongono tra la consapevolezza degli apparenti assassini e la tensione con la quale vengono avvolte le vittime predestinate, generando un sentimento di inquietudine in tutti gli osservatori: sia il pubblico, ma anche tutti i personaggi presenti per motivi diversi. I teorici Cavalieri sono scossi quanto la famiglia presente, e ciò lo si denota sia per una questione recitativa sia per la spontaneità con la quale si rivolgono ai tre. Effettivamente è una motivazione più che valida, e la gentilezza spiazzante degli “strani assassini” sembra da un lato credibile, ma dall’altro induce a chiedersi come mai non ci si riesce più ad avere fiducia nell’altro, in nessun caso. Il pregiudizio e le apparenze trovano grande spazio nel cinema di Shyamalan, che nemmeno in Bussano alla porta vi ha rinunciato pur di descrivere a suo modo la morale della popolazione. La classica domanda da un milione di dollari prende vita nel film: “Salveresti una persona o tutto il mondo se dovessi fare una scelta?”. La scelta ultima è la protagonista indiscussa al momento della rivelazione, e il fatto che venga fuori da una coppia omosessuale in lotta da tutta la vita contro i pregiudizi e la morale stessa, arricchisce il valore dell’opera.

Ancora una volta, un pretesto apparentemente scontato viene sovvertito dalle intenzioni del regista e dalla sua ammirevole furbizia nel vendere un prodotto low budget ad un target ampio. Il montaggio rapido non fa altro che incrementare l’attenzione dello spettatore, che come i protagonisti si sente accartocciato di fronte la caduta inspiegabile degli aerei. Il fattore determinante per la cognizione di causa assunta dai personaggi, è proprio la fuoriuscita tremenda delle immagini dalla televisione al tranquillo ambiente circostante. Alcuni registi descrivono con meravigliosa maestria l’incomunicabilità degli individui, ma Shyamalan sceglie invece di narrare dell’importanza della comunicazione, delle argomentazioni personali di assoluta importanza per cogliere le sfaccettature dell’umanità e la conseguente rappresentazione dei suoi valori. E tutto questo, tra l’altro, lo vuole discretamente esasperare con dei thriller ad alta tensione che hanno la capacità di tenere incollati allo schermo.

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Christian D'Avanzo
Cinefilo dalla nascita e scrittore appassionato. Credo fermamente nel potere dell'informazione e della consapevolezza. Da un anno caporedattore della redazione online di Quart4 Parete, tra una recensione e l'altro. Recente laureato in scienze della comunicazione - cinema e televisione presso l'università degli Studi Suor Orsola Benincasa.