Recensione – Close: un film sulla giovane (in)sensibilità

La recensione di Close, film del belga 2022 diretto da Lukas Dhont

Close è un film del 2022 presentato al 75esimo Festival di Cannes, dove ha vinto il Grand Prix Speciale della Giuria. Diretto da Lukas Dhont, distribuito in Italia dal 4 gennaio 2023. Di seguito la trama e la recensione di Close, film belga premiato al Festival di Cannes, con 1 candidatura ai Golden Globe; in aggiunta, ne ha ottenute ben 5 di candidature agli European Film Awards e infine 1 nomination ai Critics Choice Awards.

La trama di Close, film belga candidato ai Golden Globe 2023 come Miglior film straniero

Il film diretto da Lukas Dhont racconta la storia di un’amicizia, quella nata anni prima tra i tredicenni Léo (Eden Dambrine) e Rémi (Gustav De Waele). I due sono molto legati e abituati a dimostrarsi affetto in pubblico genuinamente, senza preoccuparsi di cosa possa pensare un occhio esterno a loro. Gli ostacoli si frappongono tra i due con l’inizio della scuola, al primo anno per entrambi, che tra l’altro capitano nella stessa classe. Un giorno, mentre sono in aula, una loro coetanea davanti un gruppo corposo di ragazze e ragazzi, chiede loro se sono una coppia di fidanzati, insospettita dalla vicinanza dei due che nel frattempo hanno mantenuto ugualmente lo stesso tipo di rapporto.

Nonostante Léo metta in chiaro non ci sia nulla di quanto insinuato, confermando di avere una relazione d’amicizia molto forte, quasi fraterna, il loro duraturo legame viene improvvisamente e bruscamente interrotto. Léo inizia a evitare il suo amico, timoroso che la loro amicizia possa essere fraintesa oppure rilevata, in caso fosse veritiera. Dal canto suo, Rémi si sente ferito e non riesce a capire il vero motivo del perché il suo migliore amico abbia cambiato atteggiamento nei suoi confronti, finendo per isolarlo sia nel contesto scolastico che fuori.

Quello che Léo non si aspetta, però, è che la sua vita verrà colpita da una tragedia totalmente inaspettata, che lo porterà ad affrontare le conseguenze della sua scelta e della sue azioni isolazioniste nei riguardi di Rémi, profondamente offeso dal cambio di rotta.

La recensione di Close, un film dalla grande e giovane sensibilità nello sguardo

Close è un film che riesce a mettere in scena, con grande sensibilità nello sguardo, una serie di dicotomie costruite sul giovane protagonista Léo. Orizzontalità e verticalità dialogano continuamente nelle inquadrature, mostrando con i movimenti di macchina tutte le sensazioni provate dai due tredicenni, quasi ossessivamente ripresi. L’apertura del film mostra subito la volontà del regista di accomunare la strada di Léo e Rémi ai fiori coltivati seguendo un certo ritmo scandito dalla circolarità: i colori presenti nell’incipit sono un’appassionata cornice per la tenera relazione tra i due amici. Questo prezioso rapporto viene espresso con delle corse da sinistra verso destra, o anche con una felice pedalata, dallo sfondo accesso per la presenza dei colori vivaci dei fiori. Il momento di conflitto, o di squilibrio se si preferisce, arriva il primo giorno di scuola e Lukas Dhont lo comunica allo spettatore attraverso uno zoom-out che infonde l’idea di un allontanamento. Quel luogo colmo di socialità è in realtà elemento disgregatore per gli inseparabili amici; in particolare ciò avviene quando una loro compagna di classe chiede se sono fidanzati, poiché i continui contatti fisici e questo attaccamento talvolta morboso − così come la cinepresa lo è con entrambi − viene visto come un qualcosa più di un’amicizia. Anche se Léo tenta di giustificarsi definendo la loro rapporto come fraterno, c’è qualcosa che in quell’attimo incrina l’inossidabile amicizia.

I primi accenni di bullismo vengo circumnavigati con prontezza di riflessi dal protagonista, che però non comprende la sofferenza che infligge fatalmente a Rémi. Se per quest’ultimo viene evidenziato un sentimento che va oltre la profonda amicizia, Léo tenta in tutti i modi di respingerlo o rinnegare sé stesso; tuttavia se lo stesso Léo sia attratto dall’amico resta un fattore ambiguo per tutta l’opera. La sensibilità del piccolo Rémi, così come la sua difficoltà ad interagire con altri bambini, seminano informazioni utili a comprendere il disegno finale: c’è un disagio per lui ad esprimere le sue emozioni, lasciandole poi esplodere in un pianto o in una violenza malinconica. Non a caso la madre del tredicenne gli ha vietato di chiudersi in bagno a chiave, perché quasi teme una reazione esagerata ai problemi che potrebbero eventualmente sorgere nel corso dell’adolescenza. Le nuove generazioni, data la sovrastimolazione per il digitale e gli agglomerati sociali, tendono ad essere inclini a depressione o a internare i sentimenti per paura dell’altro e dei suoi giudizi. Sembra sfortunatamente essere il caso dei due ragazzini, che pur avendo una ricchezza interiore e un’alta sensibilità per una relazione così intensa, si lasciano prendere dall’angoscia scaturita dall’ambiente scolastico e si isolano gradualmente. Léo ha il suo gruppo di compagni che riesce a conquistare rilegando in panchina il suo migliore amico, mentre Rémi sembra scambiare un paio di chiacchiere qua e là ma è visibilmente colpito dall’inversione di rotta bruscamente decisa da Léo.

Nonostante qualche lacrima di troppo ed una struttura fin troppo coesa, il film di Dhont è assolutamente interessante e presenta, nella rigida organizzazione, un campo semantico composto da dicotomie messe in campo con sensibilità e matura consapevolezza. Con una maggiore sregolatezza sia tecnica che narrativa, si sarebbe potuto andare anche oltre il definirlo splendido, ma in certi casi ci si può lasciar travolgere anche dalla semplicità dei sentimenti.

Close e le dicotomie: orizzontalità e verticalità, vuotezza e pienezza

Il film diretto da Lukas Dhont dimostra uno studio emotivo dietro il campo semantico che presenta, con queste dicotomie basate sui giovani sentimenti dei due tredicenni che l’occhio attento della macchina da presa decide di seguire ossessivamente. Prima di tutto il processo vitale di Léo e della sua amicizia con Rémi, come anticipato nel paragrafo precedente, viene legato alla ciclicità dei fiori: inizialmente viene coltivato; poi c’è la dispersione dei semi con la terra che prende il sopravvento sul verde vivido; infine si passa alla germinazione e alla crescita di una nuova pianta. Il primo step è messo in scena orizzontalmente con l’idea del movimento da sinistra verso destra anche frenetico, siccome ci sono corse e pedalate in bici finalizzate a rendere visivamente la gioia nello stare insieme. Per dare anche verticalità all’immagini, il regista nei momenti di massimo pathos decide di optare per degli zoom-in opposto allo zoom-out citato in precedenza; all’idea di allontanamento si pospone l’emotività profonda dell’avvicinamento. Infatti, Léo si commuove nel vedere l’amico suonare il clarinetto durante un concerto e prova profonda empatia (o amore?), e lo stesso avverrà quando ci sarà la madre di Rémi inquadrata in soggettiva, suggerendo lo sguardo intenerito di Léo. L’emozione e i giovani sentimenti sono protagonisti incanalati nella tortuosa storia di questi due bambini in preda ad una situazione di crisi esistenziale, come è normale che possa avvenire in quell’età.

Per comunicare al meglio questo fondamentale elemento, Dhont mette di fronte le inquadrature vuote, con i bambini in preda ad attimi piuttosto lunghi di solitudine o dove sono soltanto loro due, alle inquadrature piene di comparse o di oggetti scenici. In particolare è il letto ad essere la scenografia fondamentale, perché ci sono inquadrature “riempite” del volto dei due amici quando sono insieme a dormire, ed altre “svuotate” quando si ritrovano presi singolarmente e in preda ad angosce e tensioni. Inoltre, il formato scelto è quello del 1,66:1 che è definito european flat perché molto in voga nel cinema europeo e nei prodotti televisivi europei, anche se spesso nella conversione in home-video passa ad un più classico 16:9. Lo scopo di questo formato è proprio quello di accentuare il discorso sull’orizzontalità e la verticalità, avendo sul grande schermo queste due bande nere laterali che stringono claustrofobicamente l’immagine, ma non sposando il 4:3 e nemmeno propriamente il 16:9. La finalità è di determinare un senso di spigolosità, talvolta inquadrando in diagonale Léo quando è solo o in procinto di lavorare nei campi; ma la chiusura dell’immagine è presente anche attraverso il casco da hockey indossato dal protagonista durante gli allenamenti, che tra l’altro diventano sempre più aggressivi e fisici.

Lo sport è uno stereotipo d’appartenenza del genere maschile, e Léo crede di poter dimostrare a tutti di non essere “effemminato” ed omosessuale tramite discorsi sul calcio e la pratica dell’hockey. Ma quest’ultima avviene distrattamente, come se fosse un qualcosa di più e che non appartiene all’indole del bambino. Contrariamente Rémi non sembra farsi di questi problemi, e per lui lo speciale rapporto imbastito con l’amico prosegue con continue dimostrazioni d’affetto. Anche per queste motivazioni l’unione degli elementi del film prevede una lettura sulla vuotezza e la pienezza, il distaccamento e l’avvicinamento emotivo tra i due: Rémi mantiene fede a sé stesso ma non riesce a controllarsi, scegliendo con scellerata inconsapevolezza la via del suicidio come gesto estremo alla spigolosità e al respingimento di Léo. E proprio il neo sportivo, quando è sul campo, genera una tensione tale da far barcollare la macchina da presa, sempre con maggiore nervosismo. I sensi di colpa sono travolgenti, ed è un qualcosa di troppo grande da gestire per una mente così infantile; l’attentissima messa in scena del film non dichiara mai apertamente nulla, lasciando intendere il tutto alternando componenti più chiare ad altre più ambigue, proprio come l’omosessualità di Léo. Quest’ultimo decide di tenere a bada la naturale indole celandola disperatamente, oppure le sue azioni sono causate dalla voglia di smentire un sottotesto non apprezzato da lui?

Close: implosione ed esplosione, morte e rinascita

Le dicotomie di Close comunicando altre due contrapposizioni necessarie al discorso che Dhont ha deciso di affrontare con sensibilità: implosione ed esplosione, morte e rinascita. Per quanto riguarda la prima, strettamente collegate alla vuotezza e alla pienezza delle inquadrature, si sono attimi di un’intimità personale che esprimono malinconie e incomprensioni trattenute. Ma le emozioni che vengono internate non sono un bene, e tutta l’angoscia perpetuata nella spigolosità di certi movimenti di macchina, finiscono poi per esplodere in gesti eccessivi, violenti e dalle conseguenze non sempre riparabili. Persino il contatto fisico tra i due in una scena è sintomo di contrasto e di un rapporto in ineluttabile declino: Léo decide di dormire a terra lasciando solo Rémi, per poi finire a fare la lotta per gioco tramutata in vero sfogo fisico tentando di causare dolore all’altro.

Alla morte non c’è rimedio, ma è possibile elaborare al meglio il lutto subito per poi ripartire. Ecco che allora tutto torna, persino dai colori dei vestiti dei due protagonisti: Léo indossa colori più spenti, con tonalità di grigio che può indicare una certa neutralità o in tal caso “sentimenti trattenuti”; Rémi ha il rosso dalla sua, una forte e irrefrenabile passione, ma sfortunatamente anche morte. Prende forma la ragnatela di elementi abilmente messi in campo per dare vita ad una pellicola struggente, dal forte impatto emotivo anche grazie ad una recitazione sublime dei giovani protagonisti, soprattutto Léo. Morte e rinascita, segnano il percorso tracciato: il suicidio di Rémi induce Léo all’isolazionismo e ad episodi di rabbia. Ma una confessione finale nei brevi quanto morbidi dialoghi, esibiscono la volontà della madre di Rémi nel perdonare Léo dopo che quest’ultimo ha ammesso − nel letto in una inquadratura precedente − sospirando, di sentire la mancanza dell’amico.

Dopo che l’hockey, praticato con una violenza crescente, causa la rottura del braccio di Léo, il semplice taglio del gesso una volta guarito materializza la metafora finale. La rinascita prende forma, la fioritura è in atto e i colori tornando ad essere vividi. Léo, dopo l’ennesima corsa da sinistra verso destra, si volta indietro come a ricordare il trascorso con Rémi, ma è tempo di guardare al futuro con una nuova e matura consapevolezza. L’esplosione delle emozioni, la comunicabilità dei propri sentimenti deve radicarsi per poi sbocciare definitivamente in un tripudio di felicità dovuta all’emancipazione dalle “gabbie sociali” e all’accettazione di sé stessi.

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Christian D'Avanzo
Cinefilo dalla nascita e scrittore appassionato. Credo fermamente nel potere dell'informazione e della consapevolezza. Da un anno caporedattore della redazione online di Quart4 Parete, tra una recensione e l'altro. Recente laureato in scienze della comunicazione - cinema e televisione presso l'università degli Studi Suor Orsola Benincasa.