Recensione – EO: film di Jerzy Skolimowski

La recensione di EO, film diretto da Jerzy Skolimowski

EO è un film on the road diretto da Jerzy Skolimowski, vincitore del premio della giuria alla 75esima edizione di Cannes. L’opera è un progetto particolare in quanto remake di un capolavoro di Robert Bresson: Au Hasard Balthazar. Di seguito la trama e la recensione del film.

La trama di EO, vincitore del premio della giuria a Cannes 75

La trama del film EO sembra semplice e lineare, ma in realtà dietro di sé cela una liricità tutta da interpretare e scoprire. La pellicola vive perlopiù di intuizioni tecniche, per un regista che nonostante una certa età ha voluto a suo modo sperimentare con il linguaggio cinematografico.

EO è il nome di un asino che partecipa agli spettacoli di un circo, addestrato da una giovane ragazza alla quale l’animale è affezionato. Durante la confisca dei beni al proprietario dell’attività, con tanto di protesta del pubblico per il maltrattamenti degli esseri viventi, l’asinello viene trasportato in una fattoria.

Quando la ragazza lo ritroverà, lo lascerà libero: così riprende il viaggio on the road dell’animale, sempre a cambiare territorio e padrone. Grazie a questo percorso, sia interno (pensieri dell’asino) che esterno (ostacoli portati dall’uomo) il regista riesce a veicolare un importante messaggio: l’umanità deve rispettare la natura.

La recensione di EO, diretto da Jerzy Skolimowski: film che vive di linguaggio cinematografico

Doveroso premettere che chi scrive non ha ancora visionato il capolavoro di Bresson dal quale attinge questa nuova opera di Skolimowski, quindi nella recensione non verranno fatti paragoni tra i due titoli. EO è il titolo del film, ma è anche e soprattutto il verso animale dell’asino, il protagonista indiscusso della pellicola. Il regista opta per un taglio tra il naturalistico e l’onirico, sperimentando e tentando la via delle intuizioni visive finalizzate ad antropomorfizzate l’asino. Le soggettive hanno un’importanza rilevante in tal senso, poiché mostrando lo sguardo dell’animale, ingabbiato in una vita da pendolare tra uno spostamento e l’altro e soprattutto, il cambio costante di padrone è inevitabile. Per fornire allo spettatore il punto di vista del protagonista, vengono utilizzate lenti anamorfiche per sfumare i bordi, e anche quando c’è una maggiore profondità di campo si cerca sempre di tenere ben chiaro il primo piano mentre lo sfondo è secondario, uno splendido di più da mostrare a chi osserva.

Il montaggio delle immagini è fluido, mentre la fotografia cerca di catturare la luce naturale in tutta la sua bellezza, proprio per dimostrare quanto ci offre la natura e come si rapporta anche al mezzo cinematografico, in grado con il suo potente occhio di poterla incanalare come meglio può. Anche il rosso, che diventa diegetico e simbolo di un mondo visto come un inferno dagli occhi dell’asinello, è introdotto con luci presenti in scena, che sia un faro o quelle utilizzate dal circo per lo spettacolo, o dal mattatoio di turno. Un’altra indiscussa protagonista è la violenza, il vero villain della pellicola; l’essere umano è quanto di più cinico, freddo e menefreghista sia presenta attualmente sulla Terra. Attraverso l’asino, che percorre un’ampia zona, dalla Polonia fino ad arrivare in Italia, dimostra come gli uomini si rapportano quasi sempre con crudeltà alla natura: un proiettile che colpisce una volpe nel bosco; un mattatoio dove le mucche sono carne da macello, così come i maiali; le povere anime di animali catturati e poi uccisi brutalmente per ottenere le pellicce. Il viaggio on the road dell’asinello è anche più di un’opera di denuncia, è un tentativo di avvicinare lo spirito della creatura a quella degli esseri umani, poco sensibili a ciò che li circonda.

EO, un messaggio importante veicolato attraverso l’arte

Per ottenere questo effetto, gli elementi onirici presenti nella pellicola sono fondamentali: lo spettatore osserva inerme gli eventi vissuti dall’asino, ma viene a conoscenza anche dei suoi pensieri. L’animale è affezionato alla ragazza che lo ha cresciuto e se n’è presa cura, ma ormai i due si sono separati e il protagonista in alcuni momenti di solitudine ripensa a quei tempi andati. La liricità di queste immagini riescono ad innescare un sentimento di pietà in chi guarda, ma è anche un tentativo di essere responsabilizzati, e ciò dimostra la maturità, la voglia di sperimentare e la determinazione di fare del bene attraverso l’arte. Uno dei modi più sinceri per servirsi del cinema, è raccontare una storia in modo così poetico e poco didascalico, esprimendo dei sentimenti attraverso le immagini, sia di una gola tagliata ad un camionista dopo aver tentato un approccio con una ragazza di strada, sia se ad essere pestato è lo stesso asinello, sia se si scorge la sua silhouette al tramonto mentre brulica l’erba. La potenza delle immagini arriva a raccontare anche dell’esistenza di strati sociali tra gli animali stessi, poiché i cavalli sono visti come la nobiltà dall’uomo, quasi un Dio per le creature della natura dato che ha potere decisionali ed influisce sulle loro vite; dunque mentre i cavalli vengono puliti e nutriti, l’asino è obbligato ai lavori forzati.

Eppure, non è un caso che la scelta del protagonista sia ricaduta su un animale dal muso tenero e dagli occhioni dolci come l’asino: la volontà del regista è di veicolare, attraverso l’arte, un movimento di sensibilizzazione della società nei confronti degli amici animali e della natura. Perciò, l’asino influisce (servendosi del sonoro) sul risultato di una partita di calcio e in particolare sul tiro di un rigore; questo genera un diverso approccio negli uomini, siccome c’è chi lo vede portatore di sventure e chi come un portafortuna. Ma alla fine, la violenza ricade sempre sia sugli uomini che sugli animali, e passivamente il protagonista accetterà la sua condizione, pur avendo sferrato un calcio ad uno dei cattivi. Allo stesso tempo, con quest’opera gli esseri umani potranno essere aiutati a comprendere come sanno rendere un inferno questa vita. Peccato per la scelta poco chiara di virare per un attimo sulla storia di un ragazzo e di una baronessa interpretata da Isabelle Huppert; probabilmente si tratta di una forzatura dovuta ai finanziamenti che altrimenti non si sarebbero potuti ottenere. Tolto questo, il viaggio di EO è immersivo, travolgente, ma soprattutto importante nella sua poetica.

About the Author

Christian D'Avanzo
Cinefilo dalla nascita e scrittore appassionato. Credo fermamente nel potere dell'informazione e della consapevolezza. Da un anno caporedattore della redazione online di Quart4 Parete, tra una recensione e l'altro. Recente laureato in scienze della comunicazione - cinema e televisione presso l'università degli Studi Suor Orsola Benincasa.