Recensione – Lasciami entrare: horror svedese del 2008

Ecco la trame a la recensione dell'horror svedese intitolato Lasciami entrare, datato 2008

Lasciami entrare è un film di horror svedese del 2008, diretto da Tomas Alfredson, con protagonisti Kåre Hedebrant e Lina Leandersson. In Italia è uscito al cinema il 9 gennaio del 2009. La durata è di circa 114 minuti. Il film fu presentato Fuori Concorso al Torino Film Festival, candidato anche a vari European Film Awards ed al Miglior Film non in lingua inglese ai Bafta. Lasciami entrare è tratto dal best seller omonimo scritto da John Ajvide Lindqvist, da molto nominato lo Stephen King svedese, e lo stesso Lindqvist ha curato la sceneggiatura del film. Di seguito la trama e la recensione di Lasciami entrare.

La trama di Lasciami entrare, horror svedese del 2008

Ambientato nella Stoccolma di inizi anni ’80, il protagonista è Oskar (Kåre Hedebrant), un ragazzo di dodici anni timido e infelice siccome viene regolarmente sottoposto ad episodi di bullismo da parte di alcuni compagni di classe. Il bambino è perennemente frenato dalla paura, per questo non reagire. La sera successiva all’ennesimo atto intimidatorio mosso dai soliti tre compagni di classe, medita la sua vendetta e sfoga la rabbia, esercitandosi ad attaccare i suoi aguzzini con il coltello. Ma Oskar, una di queste sere, siccome è sempre fuori per trovare una certa serenità, non può far a meno di notare che nell’appartamento accanto al suo sono arrivati dei nuovi vicini, una ragazzina della sua età e suo padre. Eli (Lina Leandersson) è un vampiro e Håkan (Per Ragnar) è un genitore costretto a diventare un serial killer, il cui compito è quello di uccidere esseri umani per portare sangue fresco a Eli. Inizialmente la ragazza è diffidente e dice ad Oskar di non poter essere sua amica, ma col passar del tempo i due cominciano a incontrarsi nel cortile di sera con maggiore frequenza.

Il sobborgo in cui Oskar vive con la madre, inizia ad essere scossa dalle continue sparizioni delle persone e bruschi omicidi, tremendamente misteriosi. Il bambino, intento a tornare a casa dopo aver copiato i simboli del codice Morse a scuola, viene colpito in faccia con un bastone dai suoi bulli, ma ormai il viso gli è stato sfregiato. Eli lo nota e, quando Oskar le racconta l’accaduto, si raccomanda con lui per far sì che reagisca facendosi rispettare e facendo cessare questo loro comportamento accanito. Nel contempo, Oskar dà il foglio con i simboli del codice Morse ad Eli, comunicando così dalla parete delle due case. Il bambino è motivato dal consiglio da Eli, ma quando reagisce finisce per spaccare letteralmente un orecchio a Conny, il bullo principale che non smetteva di provocarlo nemmeno durante una gita con due insegnanti presenti. Il padre di Eli inizia ad essere geloso del rapporto creatosi tra lei ed il bambino vicino di casa, e le chiede di non vederlo più per il bene di tutti. Fino a quel momento Oskar pensava che Eli fosse strana, con un odore ambiguo e una carnagione fin troppo bianca anche per dei caucasici; ma non si sarebbe mai aspettato di trovarsi di fronte una vampira, quando lo scopre la loro relazione subisce un cambiamento repentino: ma in quale modo?

La recensione di Lasciami entrare, un horror sociologico con vampiri

Il titolo prende spunto dalla tradizione: un vampiro non può entrare in casa se non viene formalmente invitato. Ma la frase “lasciami entrare” ha una carica metaforica ben più potente, non è soltanto un ammiccamento al mondo dei non-morti. Infatti, l’azione prende il via tra le fredde strade della Svezia, dove le scenografie e la neve assumono in connotato ben preciso quale la mancanza di affetto, di rapporti sociali che possano innalzare il livello qualitativo della propria vita. Oskar ed Eli sono agli opposti apparentemente, poiché il primo viene sottoposto a violenza, la seconda la concretizza sugli altri per sopravvivere. Eppure la loro intesa nasce in modo spontaneo e frettoloso, pur tentando invano di lasciar perdere. La realtà del bullismo viene raccontata senza retorica, mostrando cinicamente quanto possano far male determinate dinamiche ai bambini, soprattutto quando non vengono seguiti dai genitori. Questi ultimi potrebbero essere delle guide affettive verso una serie di comportamenti da seguire per il bambino o la bambina, più generalmente l’educazione può essere veicolata in diverse modalità. Il racconto in questo caso specifico mostra un Oskar malinconico, un ragazzino che non sa cosa deve fare per star bene, mentre i genitori sembrano sommersi da altri pensieri senza badare troppo al taglio ricavato dal figlio. Non si fanno troppe domande né tra di loro né le pongono ad Oskar. Non sono invadenti, ma l’estremo opposto che nemmeno giova al bambino, eccessivamente isolato e pensieroso, con sentimenti repressi. Eli invece ha un rapporto più confidenziale col padre, che teoricamente vorrebbe accontentare in tutti i modi la sua bambina ed è disposto anche ad uccidere. Allo spettatore viene fatto intendere che la ragazza sia addolorata nel doversi procurare da sola il sangue, attuando violenza nei confronti di altre persone da dover obbligatoriamente uccidere in modo tale da non spargere il suo di sangue, trasformando tutti in vampiri. Il padre diventa killer per sacrificarsi, e forse la teme anche, siccome per lo più viene sottoposto ad atteggiamenti capricciosi e prepotenti.

Per Håkan è dura condurre uno stile di vita così angosciante, e lo si intuisce quando, vicino al momento di essere scoperto mentre uccide la sua vittima legata a testa in giù, preferisce suicidarsi piuttosto che venire arrestato. Ma per lui l’acido, che si è gettato in faccia con la speranza di uccidersi, rappresenta una via di fuga dalla sua ingabbiante e frustrante realtà, e non ci pensa due volte prima di cogliere l’opportunità frappostagli davanti. La violenza è all’ordine del giorno, o meglio della notte, durante tutto il film: di giorno ci sono i bulli a scuola a minacciare Oskar, con il calar del sole gli omicidi riprendono. Una volta che Eli apprende dell’incidente avvenuto al padre, a piedi nudi corre a cercarlo all’ospedale. Arrampicatasi alla finestra, la bambina picchia sul vetro e compie le ultime volontà del padre che preferisce farsi succhiare il sangue per terminare quanto iniziato, ossia abbracciare la morte. Non è una coincidenza che Håkan abbraccia sua figlia, una non-morta che lo ha indotto alla morte, prima di porre fine alla propria esistenza (per mano della figlia, concretamente). Eli è costretta a procurarsi il “cibo” da sola, e richiama le sue vittime cogliendole di sorpresa o adescandole con l’imbroglio in scene sanguinolente quanto affascinanti per come vengono proposte allo spettatore. Il rosso del sangue penetra la neve bianca, macchiandola definitivamente come solo un peccato può intaccare l’anima più pura. Le relazioni giuste possono essere la risposta a tale macchia, ed Eli nonostante tutto prova qualcosa per Oskar, che sin da subito lo ha espresso senza mascherarlo. Il titolo “lasciami entrare” sancisce ciò, non vi è più spazio per la freddezza, il distaccamento ed il cinismo, ma i rapporti vanno imbastiti con fiducia e stima reciproca. E dunque è solo fidandosi dell’altro, lasciandolo entrare nel proprio macromondo personale che ci si eleva.

Lasciami entrare: pregi e difetti dell’horror svedese del 2008

Dal punto di vista visivo è tutto molto convincente, con estro i pochi effetti visivi si celano dietro un’inquadratura più stretta o più larga a seconda della necessità. I rumori sono altrettanto importanti, specie se vanno mascherati dei passi o accentuati altri movimenti, oppure ancora delle tonalità vocali. Anche la violenza è rappresentata gradualmente: si parte con la visione di corpi appesi e lasciati sanguinare con un secchio da riempire, per poi passare pian piano alle morti più cruenti e fameliche, senza dimenticare la reazione e la formazione caratteriale di Oskar che spacca, in un picco di ribellione, l’orecchio di Conny. Il finale, invece, è furbo nel mettere in scena un non-visto funzionale ma comunicativo, quando Eli smembra i bulli che tentavano di vendicarsi sul ragazzo dopo quanto accaduto. Mentre Oskar è in piscina, si scorge del sangue mescolarsi con l’acqua, e si comprende ciò che sta avvenendo al di fuori. Il film non perde di credibilità nemmeno quando ci sono elementi più complessi come il suicidio della donna per sbaglio “mischiata” da Eli, che esasperata dalla sua nuova condizione preferisce negare sé stessa e la sua natura vampiresca, lasciandosi ardere viva dopo un contatto prolungato con la luce. Le urla disperate, in questo caso, aumentano la tensione di ciò che si sta guardando.

La durata è giusta, non si scade nella retorica e/o nella ridondanza, e ciò rappresenta sicuramente un pregio. L’unico elemento eccessivo e poco funzionale all’evoluzione narrativa graduale, è insistere sul fatto che Eli abbia 12 anni da tantissimo tempo, e quindi sia fisicamente più vecchia di quello che appare. Allora si è optato per mostrarla nei momenti più selvaggi, con un volto in CGI più che truccato, la cui unica finalità è quella di spaventare coloro che masticano meno l’horror. Si poteva tranquillamente non inserirla, non sarebbe cambiato nulla per il proseguo della storia. Il fatto che Oskar, ad un certo punto sul finale, veda per sbaglio la vagina di Eli sfregiata, che cosa aggiunge alla psicologia dei personaggi? Non c’è una reazione oltre lo stupore, non si ritorna più su quanto visto e non comporta disagio; allora perché? Una provocazione abbastanza superflua e inelegante, per un film che per tutto il resto del tempo è al contrario molto elegante e simmetrico nella sua freddezza estetica ed emotiva. Anzi, un plauso particolare all’abilità del regista nel rappresentare l’astratta seduzione reciproca tra i due bambini, essendo un’operazione alquanto controversa e complicata. Invece qui c’è genuinità, i protagonisti incanalano un’occasione catartica, di riscatto e di affetto empatico ritrovato o trovato per la prima volta, espresso nel finale dove i ragazzini partono insieme ricominciando da capo. Lo fanno sia sul piano ideale che sul piano fisico, toccandosi incuriositi.

Lasciami entrare è un film delicato, sensibile e coeso nella sua costruzione graduale. Si serve dell’espediente puramente horror, in questo vampiresco, per parlare d’altro: di relazioni, di mancanza di figure guida come quelle genitoriali o dei professori distratti mentre accade di tutto, di affetto e rabbia repressi. L’aspetto puramente sociologico è il piatto forte di un horror capace di essere sia astratto che concreto, senza perdersi in chiacchiere dai facili sentimenti, perché l’obiettivo è proprio quello di trasporre la difficoltà di questi ultimi.

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Christian D'Avanzo
Cinefilo dalla nascita e scrittore appassionato. Credo fermamente nel potere dell'informazione e della consapevolezza. Da un anno caporedattore della redazione online di Quart4 Parete, tra una recensione e l'altro. Recente laureato in scienze della comunicazione - cinema e televisione presso l'università degli Studi Suor Orsola Benincasa.