Recensione − Nope: il nuovo film di Jordan Peele

La recensione di Nope, un mix tra fantascienza, horror e western

Nope è il terzo lungometraggio scritto, diretto e prodotto da Jordan Peele, regista che sta pian piano facendo sempre più breccia nel cuore di pubblico e critica internazionali. Dopo Get Out − Scappa e Us (Noi), tra thriller psicologico, commedia umoristica, horror grottesco, Peele torna dietro la macchina da presa e dietro una scrivania per la stesura di una sceneggiatura dall’elevato tasso riflessivo e meta cinematografico. Ancora una volta, il regista statunitense mescola generi per parlare di argomenti contemporanei della società. Ecco la trama e la recensione di Nope, film di Jordan Peele distribuito l’11 agosto 2022 nelle sale italiane.

La trama di Nope, terzo film di Jordan Peele

In California, due fratelli Oj ed Em Haywood (rispettivamente Daniel Kaluuya e Keke Palmer) gestiscono una fattoria di cavalli utilizzati dalle troupe cinematografiche. A seguito di un incidente che ha coinvolto loro padre, dovranno prendere le redini del ranch; il decesso è stato provocato da una ferita in testa dovuta ad un nichelino caduto inspiegabilmente dal cielo. OJ ed Em ereditano la proprietà, e mentre il primo cerca di mantenere l’attività per preservare l’eredità del genitore, la seconda spera di trovare fama e celebrità a Hollywood. Le difficoltà sono dietro l’angolo per entrambi, siccome Oj non riesce ad essere espansivo nelle relazioni sociali e fa fatica a gestire i cavalli durante le riprese degli spot a cui partecipano; Em invece è estroversa, tenta in tutti i modi di farsi notare cercando di dimostrare le sue doti poliedriche, ma non sembra convincere quasi nessuno per sua sfortuna.

Ben presto i fratelli Haywood si ritrovano pieni di problemi finanziari e, come se non bastasse, i cavalli sembrano svanire nel nulla, mentre quelli ancora presenti sono nervosi e hanno reazioni violente. Il film è strutturato in capitoli a seconda del cavallo protagonista di una determinata sequenza in cui accadono eventi misteriosi. Oj si vede costretto a vendere alcuni cavalli a Jupe Park (Steven Yeun), che di recente ha aperto un parco nella gola, nel suggestivo deserto della California. Nel frattempo viene evidenziata, per l’importanza metaforica che veicola, la vecchia vicenda riguardante lo scimpanzé Gordy, esploso in un singolare episodio di violenza durante le riprese di un episodio della sitcom di finzione intitolata Gordy’s Home. Ci furono delle vittime, e dei feriti; tra gli attori figurava un giovanissimo Jupe Park, che in un faccia a faccia con Gordy è stato fortunosamente risparmiato.


Insospettiti dagli strani eventi quali le sparizioni dei cavalli o il loro nervosismo, e anche un calo energetico improvviso, i due fratelli ipotizzano l’esistenza extraterrestre per spiegarsi le recenti stranezze. Em convince OJ a installare delle telecamere nel ranch nella speranza di capire cosa sta accadendo e di registrare un video che possa farli arricchire. Solo successivamente si rendono conto, con l’aiuto del tecnico Angel Torres (Brandon Perea), che c’è una nuvola in cielo perennemente immobile: sembra letteralmente non spostarsi mai. Cosa nasconde?

La recensione di Nope, il western fantascientifico di Jordan Peele

Jordan Peele al suo terzo film ha scritto e diretto, oltre che prodotto, un vero e proprio capolavoro. La grandezza di Nope sta nell’aver concentrato in un perfetto insieme sia la stessa poetica del regista, quindi la società americana e la questione razziale, sia un discorso meta cinematografico con la tipica caratteristica del post moderno: l’ibrido di generi. Peele interseca ogni elemento, ogni passaggio narrativo e di messa in scena, alla perfezione: per quanto riguarda l’importanza del contenuto razziale si potrebbe ricavare una chiave di lettura nell’utilizzo dell’espediente narrativo dello scimpanzé Gordy che, sfruttato per la spettacolarizzazione televisiva − caratteristica americana quello dello show, persino nello sport − ad un tratto, estenuata, incanala la sua rabbia per ribellarsi al sistema d’intrattenimento capitalista; una disperazione urlata in faccia al pubblico con un vibrante “NO!” − in originale Nope − come da titolo del film.

L’utilizzo del genere western, inoltre, è inserito per mettere in scena il discorso sul territorio e i suoi confini, temi da sempre presenti nei film sul vecchio West. In questo caso la comunità afroamericana rappresentata dall’attività familiare, dice no alla sottomissione del capitalismo bianco mettendosi in proprio, e ricordando che un loro pro zio di colore è stato il primo a cavalcare. Infatti, un sistema per ottenere immagini in sequenza consisteva nel collocare macchine fotografiche a distanze regolari, i cui scatti potessero essere azionati da fili di lana tesi che un cavallo in corsa tirava incontrandoli su un percorso; così facendo si ottennero quelli che oggi sono definiti fotogrammi. Ciò è importante perché viene sempre messo in rilievo il cavallo o l’inventore, ma mai la manodopera, che in questo caso è un fantino di colore, lontano parente dei protagonisti. Ogni personaggio ha un suo riscatto psicologico, riesce a superare il lutto o qualsiasi barriera gli venga posta, e questo riporta ancora ai meccanismi narrativi tipici del genere western.

Per quanto riguarda il discorso meta cinematografico ci sono diversi elementi: è importante sottolineare come Peele abbia mescolato i generi quali sci-fi, horror, tinte di commedia, western, caratteristica del postmoderno, ma ancor di più è essenziale l’occhio della macchina da presa che oggi giorno sottomette l’uomo rendendolo schiavo delle immagini; una capacità di modellare a proprio piacimento l’audio visivo il quale, come insegna la breve storia dei mass media, può essere croce e delizia. Il genere umano non merita di conoscere l’impossibile, la luce magica deve restare segreta e nessuno potrà mai svelarla. Gianni Canova, rettore dell’Università IULM di Milano, nel suo libro L’alieno e il pipistrello spiega benissimo come lo sguardo si inserisce nel post moderno, prendendo atto dell’arricchimento che può derivarne; altri invece asseriscono accezione negativa al cinema contemporaneo proprio perché deumanizza e desensibilizza con l’eccesso: gli abbondanti effetti visivi; la ricostruzione tecnologica dei corpi e dei punti di vista, umani e non; le provocazioni talvolta superflue. Allora ecco il testamento, crudo e puro, di Jordan Peele: basta abbassare lo sguardo e il predatore (mass media, capitalismo) non può catturare chi guarda, ma saranno le persone (i protagonisti del film) a catturare lui “in uno scatto” per imprigionarlo, perché non interessa realmente svelare il mistero, ma farlo proprio, per vivere meglio.

Nope rischia seriamente di raccogliere l’eredità di film che delicatamente omaggia: Incontri ravvicinati del terzo tipo e, soprattutto, Lo squalo. Non ci sono soggettive antropomorfe, ma quando si scoprirà l’entità da predatore dell’Ufo, che in realtà è un vero e proprio organismo alieno, le somiglianze con i film di Spielberg diventano una prelibata modernizzazione dei suoi due classici con tanto di riflessione sul senso stesso dello sguardo. Il senso di curiosità, il fascino dello sconosciuto e della conseguente scoperta, generano la voglia di guardare; così facendo si offre un involontario consenso all’alieno-predatore-capitalista di far sua la padre, ingerendola quasi meccanicamente con altri corpi estranei. L’immagine divoratrice non dà scampo, i media sono corpi algoritmici, aritmetici, schematici e col solo scopo di sfamarsi sfamando, in un rapporto senza fine con il consumatore assuefatto e inglobato. E in particolar modo oggi, con il ruolo del prosumer a produrre ciclicamente contenuti, qualsiasi persona vuole arricchirsi ammaliando qualcun altro, e questo è perfettamente incarnato nel personaggio di Jupe Park. Lui, dopo aver rischiato di morire sul set per mano di Gordy, ha deciso di diventare egli stesso un produttore di immagini e di intrattenimento, cercando anche di sfruttare quel tragico evento, oltre che l’alieno, nuova attrazione del suo parco. Peccato che gli sfugga di mano, perché il predatore capitalista non può essere così facilmente addomesticato e spesso si ritorce contro chi ci prova.

L’immagine in Nope viene rappresentata in diverse forme: come riflesso di sé dato che all’inizio del film, il cavallo che è sul set guarda la sua immagine e si spaventa mandando in fumo la collaborazione tra Oj e i produttori televisivi, pronti a sostituirlo con un cavallo digitale ottenuto grazie al green screen. Il regista di gran fama all’interno del film, si dimostra quasi stanco e ossessionato contemporaneamente dalle immagini, tanto che spera in qualcosa di nuovo che possa ravvivarlo. L’occasione di riprendere l’alieno è troppo ghiotta, ma nel tentativo di prenderlo in digitale qualcosa non va: l’energia salta, e la tecnologia viene spazzata via. Basta così poco? La soluzione con la vecchia scuola è la pellicola, con una manovella girata a mano si può ottenere il risultato sperato, dopo che tutti i personaggi architettano il piano perfetto per catturare l’alieno, o meglio, la sua immagine. Ma lo splendore della novità, l’assuefazione portata dal fascio di luce irraggiungibile, non merita di essere colta e condivisa con il genere umano e, dunque, il regista in questione decide arbitrariamente di rinunciare alla propria vita insieme alla sua macchina da presa poiché saziato da questa conoscenza. Nel finale, sarà una vecchia foto a fornire una testimonianza, dopo il triello da western tra i due fratelli e l’alieno. Nope è Lo Squalo della generazione attuale, mettendo a confronto il vecchio − dalla pellicola al fantino pro zio dei protagonisti − con il nuovo − il digitale le telecamere installate per riprendere qualsiasi dettaglio − e tutto ciò che si trova nel mezzo: un trait d’union affascinante che dialoga direttamente con il presente pur rispettando il passato, per cui vale la pena abbassare lo sguardo.

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Christian D'Avanzo
Cinefilo dalla nascita e scrittore appassionato. Credo fermamente nel potere dell'informazione e della consapevolezza. Da un anno caporedattore della redazione online di Quart4 Parete, tra una recensione e l'altro. Recente laureato in scienze della comunicazione - cinema e televisione presso l'università degli Studi Suor Orsola Benincasa.