After Life, il dramma plautino di Ricky Gervais (recensione)

After Life, recensione serie tv di Ricky Gervais

A sentir parlare di una serie TV realizzata da un comico si potrebbe storcere il naso, pensando che questa stessa serie TV possa essere incentrata su temi troppo semplici, su una realtà troppo grottesca o su un modo di pensare e di interpretare delle puntate in maniera piuttosto superficiale. Se si pensa, invece, ad una serie TV realizzata, creata e pensata da un comico ma che si organizza e struttura su uno sfondo tragico, si potrebbe sfociare in ben altro tipo di pensiero, cercando di comprendere quali possano essere le determinazioni di una materia che difficilmente appartiene a quello che è considerato uno dei migliori comici di stand-up che esistano al mondo. Queste premesse concorrono nel cercare di parlare di quel piccolo ma interessante capolavoro che è After Life, serie TV creata da Ricky Gervais e vero e proprio successo, in termini di produzione e mercato, di Netflix. Ecco tutto ciò che c’è da sapere circa quel dramma plautino che il comico è stato in grado di creare, attraverso una storia che a tratti sembra essere superficiale, stereotipata e quasi banale ma che, allo stesso tempo, sa comunicare molto soprattutto in termini di emozione, sentimento e ideologia.

After Life: produzione, cast e trama

Prima di prendere in considerazione una recensione di After Life, attraverso tutte le sue caratteristiche e determinazioni che l’hanno resa naturalmente celebre e molto amata da tantissimi spettatori, vale la pena comprendere quali siano tutte le determinazioni basiche e strutturali di questa serie stessa. Si tratta di una serie televisiva britannica creata nel 2019, diretta, prodotta è interpretata da Ricky Gervais, un più che semplicemente noto stand up comedian. La prima stagione è stata distribuita da Netflix l’8 marzo del 2019, seguita dalla seconda e da una terza che è già in lavorazione, accolta e oggetto di grande attesa da numerosi spettatori.

La serie TV, che si inserisce nel novero della commedia nera, consta di due stagioni da sei episodi, che hanno una durata compresa tra i 25 e i 31 minuti. La trama della serie TV in questione è molto semplice, e a tratti potrebbe sembrare piuttosto banale, oltre che aderente a numerosissime realtà cinematografiche e televisive che già sono state osservate sul grande e piccolo schermo: la serie si ambienta all’interno del contesto di una semplice cittadina britannica, all’interno della quale la vita quotidiana scorre, imperterrita, attraverso le sue determinazioni; il protagonista di questa piccola realtà televisiva, Tony, cade in uno stato di depressione a seguito della morte, per cancro al seno, di sua moglie. Il giornalista, che affronta un grande dolore, vede trasformarsi completamente il suo carattere, diventando incredibilmente burbero e tendente al suicidio, prima di riacquisire contatto con la realtà grazie a tante persone, soprattutto amici e parenti, che cercheranno di dargli un nuovo senso di essere.

La bellezza del dramma plautino di Ricky Gervais

Come già precedentemente accennato, si potrebbe considerare After Life come una serie che parte da presupposti piuttosto superficiali e banali, sia per quanto riguarda la trama e il contenuto di questa stessa serie TV, sia per quel che concerne la tipologia dei personaggi che si ritrovano all’interno della materia televisiva. A dire il vero, però, fin dalle prime battute di questa serie televisiva si osserva un elemento che raramente si può ottenere guardando una serie TV o un film: il carattere plautino di questo dramma, che naturalmente potrebbe svilupparsi come una vera e propria commedia, trattandosi di un prodotto creato dal più celebre dei stand up comedian che esistano nel panorama comico, ma che si sviluppa attraverso l’antitesi del carattere dello stesso Ricky Gervais.

Una commedia che cede subito al dramma, alla tragedia, alla tristezza e al dolore di un protagonista che ha appena perso la moglie, apparentemente la sua unica ragione per vivere, oltre che il motivo un grado di renderlo felice nella sua quotidianità. Quello che potrebbe sembrare un tema banale si sviluppa, in maniera piuttosto originale e limpida all’interno delle brevi puntate, attraverso un posizionamento strategico di tutti i personaggi sulla scena, proprio come se ci si ritrovasse all’interno di una commedia di Plauto. Se il grande commediografo latino aveva ben compreso la funzione dei singoli personaggi, adattandoli a un contesto nel quale svolgevano sempre lo stesso ruolo, stereotipando meccanismi e caratteri della realtà, allo stesso tempo anche After Life si sviluppa attraverso una meccanizzazione della realtà.

La stessa avviene sia attraverso una scarna scenografia che si serve di ambienti continuamente ricorrenti – come la casa di Tony, l’ufficio all’interno del quale lavora soltanto per qualche minuto, la casa di riposo dove quotidianamente vede suo padre, il cimitero dove è sepolta sua moglie -, sia nei dettagli degli stessi personaggi, che mai si evolvono sulla scenografia ma che offrono un supporto necessario nel dinamismo di Ricky Gervais. La classificazione del cast è, dunque, evidente, non soltanto in termini di importanza dei singoli personaggi, ma in tutto quel supporto ciclico che personaggi statici sanno offrire a l’unica forma di dinamismo che risulta essere presente all’interno della commedia nera.

Non a caso, si ritrovano tanti meccanismi della realtà, che si ripetono praticamente sempre nelle dodici puntate di After Life: dal cognato di Tony che vive una difficile situazione di matrimonio, tendente alla separazione, fino alla collega che risulta essere sola e che cerca di attirare le attenzioni di tutti, passando per l’amico drogato, che morirà di overdose, fino alla prostituta, che cerca di essere accettata all’interno della società per quello che è. E ancora, non manca il classico personaggio stupido, oggetto delle linee comiche continue all’interno della serie, oltre che l’uomo burbero, che soffre per essere stato lasciato da sua moglie e che la riempie di insulti ogni volta che può; si conclude, ancora non a caso, con il classico maschio alpha sofferente di machismo ma che, in fin dei conti, risulta essere lo schiavo delle sue tendenze sociali.

Insomma, tutti questi personaggi risultano essere delle vere e proprie macchiette comiche, che non hanno mai uno sviluppo personale singolo ma che, allo stesso tempo, sanno offrire un supporto necessario all’evoluzione e allo sviluppo del protagonista, unico personaggio che sa davvero affrontare tutte le sfaccettature della realtà e della propria quotidianità, molto spesso tendente al disagio, all’odio, al suicidio tentato, alla tristezza e alla tragedia per la perdita di una persona cara.

L’equilibrio tra risata e dolore

Nel complesso, After Life riesce a vivere in un costante equilibrio tra risata e dolore, ed è per questo motivo che sa offrire tutta la grande bellezza di cui è composta. Dalle prime scene, all’interno delle quali si comprende subito quale sia il motivo dominante della serie, fino a quei leitmotiv che portano continuamente Tony, il protagonista che mai più potrà essere felice, ad affrontare tutte le dinamiche tristi della propria realtà. L’equilibrio tra risata e dolore è assicurato da quelle continue battute e moti di spirito che sono, anche in modo piuttosto brusco e burbero, realizzati dal protagonista nei confronti di chi lo circonda, ma soprattutto sono donati da tutte quelle piccole storie che vengono raccontate all’interno della commedia stessa, un po’ come in un sistema di scatole cinesi all’interno delle quali, ad una storia dominante, si aggiungono tante piccole storie di risata e dolore che concorrono nel bilanciamento di quell’equilibrio globale di cui si struttura la serie.

About the Author

Bruno Santini
Laureando in comunicazione e marketing, copywriter presso la Wolf Agency di Moncalieri (TO) e grande estimatore delle geometrie wesandersoniane. Amante del cinema in tutte le sue definizioni ed esperto in news di attualità, recensioni e approfondimenti.