Le migliori trasposizioni di Pinocchio

L'elenco delle trasposizioni di Pinocchio più valide distribuito al cinema e in televisione

Non sono poi tante come si pensa le trasposizioni del personaggio di Pinocchio passate sullo schermo, piccolo o grande che sia. Basate sul romanzo di Carlo Collodi pubblicato nel 1883, Le avventure di Pinocchio, hanno preso vita diverse modalità con cui raccontare quella storia pur mantenendone lo spirito iniziale, il più delle volte. Allora, per fare chiarezza su quali siano i prodotti più riusciti legati al burattino di legno trasformatosi in un bambino vero, ecco una lista delle migliori trasposizioni di Pinocchio.

Le avventure di Pinocchio (1972) di Luigi Comencini

Le avventure di Pinocchio è un prodotto audiovisivo diretto da Luigi Comencini, destinato alla televisione. Per il piccolo schermo ci sono diverse versioni: miniserie in sei puntate e la sua versione dal taglio maggiormente cinematografico dalla durata di poco più di due ore; due versioni home-video, una ridotta e l’altra di durata canonica in cui erano riversate le sei puntate, senza dare prova della pregressa attività artistica di Luigi Comencini che a questo film approdò dopo un lungo lavoro, parte del quale per la televisione, indagando, come nessuno aveva fatto prima sul mondo dell’infanzia.

Fedele al romanzo di Collodi, ma anche al trattamento dell’infanzia in altri suoi film come La finestra sul Luna Park (1957) e Incompreso (1966), Comencini rende immortale questo prodotto dal protagonista indimenticabile: Andrea Balestri. Le prove che Pinocchio affronterà durante il suo percorso di maturazione e purificazione dai vizi, sono dettate inevitabilmente dalla ribellione giovanile. La presa di coscienza è fondamentale, non c’è un singolo errore che non abbia una conseguenza e ciò rende il giovane protagonista malinconico ma allo stesso tempo epico nel fronteggiare i pericoli. Comencini offre uno sguardo destinato a restare impresso nelle menti degli italiani e non solo, atemporale, anacronistico nei temi e nelle scenografie.

Pinocchio (2013) di Enzo D’Alò

Pinocchio di Enzo D’Alò è un film d’animazione italiano presentato alla sessantanovesima Mostra Internazionale d’arte cinematografica di Venezia nella sezione: “Giornate degli Autori”. Distribuito poi al cinema a partire dal 21 febbraio 2013, la colonna sonora è composta da Lucio Dalla con le performance canore di Leda Battisti, Nada e Marco Alemanno; candidato al Miglior film d’animazione all’European Film Awards. Il regista, Enzo D’Alò non tradisce sé stesso tanto meno lo spirito del romanzo di Collodi, trattando i temi della genitorialità, della diversità e della crescita, tramite il personaggio di Pinocchio.

Le scenografie e il design dei personaggi brillano perché coloratissimi, sprigionando vitalità e intensità; l’animazione funziona sposata, ad un ritmo incalzante, non risulta mai macchinosa; le canzoni originali, tra cui il pezzo rap in pseudo-latino, offrono diverso brio e una ventata d’aria fresca al racconto; D’Alò riesce sapientemente a trovare un equilibrio tra fedeltà all’opera di riferimento, poetica propria e cambiamenti funzionali come la sequenza onirica della morte della fatina, squisitamente dark.

Pinocchio (2019) di Matteo Garrone

Una delle opere più recenti che traspongono il romanzo di Collodi, è stata girata da Matteo Garrone, regista italiano apprezzato internazionalmente. Pinocchio, distribuito nel 2019 in Italia e nel 2020 in America, ha ricevuto 15 candidature ai David di Donatello con 5 vittorie e 2 nomination alla 93ª edizione degli Oscar per i migliori costumi ed il miglior trucco. Cast di tutto rispetto formato da: Roberto Benigni che veste i panni di Geppetto, Pinocchio è interpretato da Federico Ielapi; Gigi Proietti è Mangiafuoco, mentre Rocco Papaleo e Massimo Ceccherini, che ha anche contribuito alla stesura della sceneggiatura, interpretano rispettivamente il Gatto e la Volpe.

Il Pinocchio di Garrone è una versione particolarmente fedele al testo di riferimento, per messa in scena e per attenzione filologica rigorosa. Le atmosfere, di fatto, sono più grigie e cupe per rappresentare la miseria della vita nel paesino Toscano, che è capace anche di regalare scenografie propriamente da fiaba. Formidabile trucco prostetico e costumi magnifici nella loro eleganza e attenzione al dettaglio; estetica costruita per alternare sia sogni che incubi, ricche di creature inquietanti e magiche. L’artigianalità degli elementi sopracitati è il punto più alto del film, realizzato con una tecnica che difficilmente oggi si vede al cinema in Italia. Il grigiore della fotografia è poche volte “bucata” dalla luce simboleggiante la meraviglia: il racconto di maturazione di Pinocchio, è compressa nella velocità di alcuni passaggi. Il regista si lascia prendere la mano dall’iperrealismo piuttosto che dalla meraviglia, rendendo a tratti horror il racconto e per questo forse alzata troppo il target di partenza. Tuttavia, la potenza estetica è tale da godersi lo stesso la visione, senza troppi indugi.

Un burattino di nome Pinocchio (1972) di Giuliano Cenci

Un burattino di nome Pinocchio è un film d’animazione italiano distribuito nel 1972 nonostante fu terminato nel 1971. Realizzato in full animation, a due fotogrammi per disegno, stessa tecnica dei lungometraggi della Disney, Cenci vi impiegò oltre cinque anni di lavoro con un’equipe di circa cinquanta artisti e tecnici specializzati. Il film fu esportato in oltre venti paesi del mondo, ma ad oggi è poco ricordato. Nonostante ciò merita assolutamente di finire in lista per l’importanza della produzione e per la qualità che se n’è riusciti a ricavare.

La struttura nei circa 93 minuti di durata del film è pressoché ad episodi, cercando di riprende di pari passo tutte le sfortunate avventure del burattino Pinocchio, e nel contempo la voce narrante alleggerisce il tono con battute ironiche per strappare un sorriso agli adulti. Il target è per bambini, molto più che nelle altre opere citato: meccanismi didascalici dagli intenti pedagogici, ci si ferma dopo una peripezia del burattino facendo recitare la morale di turno ai personaggi. Si rafforza l’idea, così facendo, di ciò che si è appena visto e come Pinocchio impara insieme ai giovani spettatori che guardano il film. L’amore incondizionato che riceve dalla Fata Turchina e da Geppetto, saranno il fulcro della sua maturazione fino a diventare un bambino vero. Trascinante la colonna sonora curata da Vito Tommaso e Renato Rascel, quest’ultimo anche autore della canzone presente nel film che funge da fil rouge.

Un burattino di nome Pinocchio risulta eccessivamente didascalico e compresso nella sua narrazione episodica, con tanto di libro rilegato fuori campo con il narratore-imbonitore a girarne le pagine con i disegni interni. Ciononostante, trasmette allegria e centra la funzione pedagogica e moralistica.

Pinocchio (1940) Walt Disney, di registi vari

La primissima opera audiovisiva basata sul romanzo di Carlo Collodi, è il film d’animazione della Walt Disney uscito nel 1940 e diretto a più mani. Quella dello studio d’animazione di topolino è una rappresentazione fedelissima nello spirito, con chiavi di lettura sempre attuali. Lo spettatore è immerso nella storia tramite il Grillo Parlante, una delle comic relief più riuscite di sempre in casa Disney: il suo humour da conquistador di cuori femminili soprattutto nella parte iniziale con le donnine degli orologi fa sorridere e va contestualizzato poiché figlio dei suoi tempi. Si seguono le avventure sfortunate del protagonista mentre incontra personaggi inetti, opportunisti, con i quali Pinocchio si confronterà uscendo prima raggirato e poi maturato.

Pinocchio, film d’animazione della Disney, lo si può leggere come una parabola della vita di un qualunque giovanotto di classe media, che denuncia lo sfruttamento minorile e i vizi a cui spesso ci si attacca fin troppo presto come alcol e fumo, poiché alienati dalla vita quotidiana fatta di doveri. Momenti di gioia si alternano a momenti di difficoltà e tristezza, rispettivamente con colori caldi alternati a quelli freddi, e Pinocchio alla fine riuscirà a riabbracciare suo padre Geppetto, con la trasformazione da burattino a umano in carne ed ossa, levigato dai duri ostacoli della vita che lo hanno reso consapevole, maturo e “vero” come tanti altri bambini. Perché alla fine, la Disney, fa suo il romanzo di collodi nell’estetica, nella comicità e nel caloroso incontro finale che scioglie i cuori.

Pinocchio (2022) di Guillermo del Toro

Rilasciato su Netflix appena il 9 dicembre del 2022, il regista messicano Guillermo del Toro fa suo lo spirito del romanzo di Collodi per adattarlo perfettamente alla sua creatività e alla sua poetica. Grazie al sostegno della piattaforma streaming, il regista premio Oscar ha potuto realizzare il tanto ambito e desiderato progetto di Pinocchio in stop-motion. Questo nuovo film d’animazione è ambientato negli anni della guerra, in una cittadina italiana non specificata dove Geppetto è un falegname apprezzato ma che a seguito della perdita di suo figlio Carlo, perde sé stesso. Il falegname abbatte il pino in cui aveva appena deciso di trasferirsi Sebastian il Grillo e da lì crea un bambino di legno. Lo Spirito del Bosco, eccezionalmente interviene generando Pinocchio, per aiutare l’uomo di buon cuore.

Le peripezie del piccolo burattino rispecchiano perfettamente gli intenti del romanzo dalla quale ha attinto del Toro e gli altri registi sopracitati: gli ostacoli e le avventure, nonché tutti i personaggi incontrati sul suo cammino, rappresentano motivo di crescita e maturazione per il protagonista. La Fata Turchina lascia spazio a due spiriti, Vita e Morte, quasi fuoriusciti da un film di Miyazaki per l’estetica; la nobiltà d’animo di Geppetto non lascia indifferenti nemmeno loro, tanto da concedere a lui e il suo figlioletto di legno, la possibilità di rivivere (metaforicamente il primo e fisicamente il secondo). Il Gatto e la Volpe in realtà cambiano radicalmente: il primo diventa Spazzatura, personaggio dallo sviluppo completamente diverso rispetto al personaggio base; la Volpe si trasforma in una versione spregevole e bugiarda di Mangiafuoco. Lucignolo è figlio di un podestà che odia la diversità sposando gli ideali di Mussolini, qui una caricatura; il saluto fascista è reso goffo ripetutamente come in una commedia slap stick. I cambiamenti sono tanti rispetto alle altre trasposizioni, ma l’accettazione del diverso, di sé e dell’altro, le responsabilità nei confronti di chi si ama e che a sua volta ama, l’egocentrismo che lascia spazio all’altruismo con personaggi multidimensionali, incontrano l’autorialità del regista in un mix magistrale di elementi. Le canzoni originali e la colonna sonora rendono il prodotto ancora più adempiente, già iconico e dal cuore grande, come ogni creatura dei film di del Toro, che qui aggiunge l’elaborazione del lutto ai temi già ricchi e variegati.

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Christian D'Avanzo
Cinefilo dalla nascita e scrittore appassionato. Credo fermamente nel potere dell'informazione e della consapevolezza. Da un anno caporedattore della redazione online di Quart4 Parete, tra una recensione e l'altro. Recente laureato in scienze della comunicazione - cinema e televisione presso l'università degli Studi Suor Orsola Benincasa.