Avatar: La Via dell’Acqua, recensione (SPOILER)

Avatar: La Via dell'Acqua, la recensione con SPOILER sul film

Dopo averne parlato in lungo e in largo senza fare troppi riferimenti alla trama di Avatar: La Via dell’Acqua, è tempo di dare spazio ai personaggi che hanno segnato e alzato la qualità del film. Purtroppo, in particolar modo sul web italico, si dà un’importanza sopraelevata alla sceneggiatura, soprattutto quando non è articolata nel modo in cui la si preferirebbe vedere, ma anche se non è schiava della logica. L’ingombrante figura dello sceneggiatore hollywoodiano, ruolo al quale in tantissimo sembrano aspirare nel 2022, tende a pesare troppo sulla “critica” costruita attorno ad un’opera. Di seguito la recensione con SPOILER di Avatar: La Via dell’Acqua, nel tentativo di mostrare come la narrazione veicola un messaggio importante.

La recensione con SPOILER di Avatar: La Via dell’Acqua

Nel momento in cui si espande l’importante tematica ecologista per diffonderla agli elementi marini dopo aver ragionato sul cambiamento climatico nell’ormai lontano 2009, il sequel di Avatar accende miracolosamente la sensibilità dello spettatore. I Tulkun, in particolare il reietto amico di Lo’ak, riescono a far comprendere nella parte centrale del film come l’essere umano possa essere il maggior pericolo per sé stesso e per l’habitat circostante. James Cameron, regista del film, si prende una buona ora per immergere chi guarda, con una tecnica mai vista prima in grado di trasportare Pandora direttamente in sala, nelle isole dei Metkayina in modo tale da far affezionare tutti al popolo e agli amici animali. Le magiche creature sono il pezzo forte di un’immaginario destinato a restare nella Storia del Cinema, e già questo basterebbe a giustificare la ricerca narrativa di Cameron, finalizzata a sensibilizzare gli esseri umani nei confronti di Madre Natura. D’altronde uno dei mantra è: la vita viene donata e poi restituita, unendo la propria anima con quella del territorio in un rapporto al di là del rispetto, coronato da un’imprescindibilità esistenziale. Le modalità visive con le quali lo spettatore usufruisce della pellicola, sono dotato di un’intensità emotiva senza pari, quasi come se si fosse di fronte ad un documentario; la differenza è che non c’è niente di reale, eppure si arriva al cuore degli attenti osservatori come se si stesse descrivendo la società contemporanea. Le soggettive servono proprio, assieme al meraviglioso ed unico 3D, a rispecchiarsi nella storia raccontata qui: il Tulkun emarginato non è causa del suo male, bensì vittima di una guerra cominciata, guarda caso, dall’uomo. La difesa è stata violenta, ma non è il fulcro, solo un’istinto animale volto alla sopravvivenza; tuttavia è impossibile restare inermi dopo aver assistito a 3 ore e 15 circa di world building così accurato e coinvolgente.

I protagonisti sono i figli dei Sully, una nuova generazione declinata in più modi: sono di per sé alieni e alienati dai Metkayina per le differenze fisiche, siccome quest’ultimi sono creature marine con uno sviluppo volto alle attività subacquee piuttosto; si rimarca la diversità con il popolo della foresta da cui proviene la famiglia di naufraghi. La respirazione è fondamentale, bisogna saper lavorare di istinto e di mente, raggiungendo una serenità tale da riempire il necessario i polmoni d’aria. Così facendo, si trasmette la stessa sensazione a chi guarda, talvolta sommerso dalle onde del mare dando una sensazione di apnea. Ma l’apnea è anche una claustrofobia sociale nella quale i figli dei Sully sono ingabbiati: tra bullismo e disobbedienza ai propri genitori, è difficile trovare la propria identità ed il proprio posto nel mondo. Le nuove generazioni, protagoniste del film, sono in costante dialogo con la vecchia e si responsabilizzano prima del previsto, maturando e innescando un percorso dovuto agli errori della generazione passata, assolutamente non esente da colpe. Le stesse colpe vengono riprese dagli eredi, in procinto di una più alta comprensione dei fatti, in grado di leggere prima le varie situazioni presentatesi. La vecchia guerra del primo film serba rancore in alcuni personaggi, in particolare nel villain, il colonnello Miles Quaritch, che nel frattempo aveva dato vita ad un figlio su Pandora. Spider, il nome del ragazzo, è anch’egli in qualche modo un reietto, un diverso che fa fatica ad essere accettato: lo è da quasi tutti i Sully, meno che da Neytiri, gravemente traumatizzata dalla cattiveria umana. Il colonnello qui ritorna, dopo la morte, ma in un nuovo corpo da Na’vi; è un clone, la coscienza della vita precedente è stata trasportata. La guerra verrà ripetuta, ma sta volta non c’è morte per una delle due parti, anzi. I figli, dopo aver assistito al decesso di Neteyam causato da questa pesante diatriba, si rendono conto di quanto l’innocenza pura non debba pagare per il cinismo dei padri. Nel finale, sia Lo’ak che Spider, salvano i propri genitori che hanno dato vita ad un nuovo scontro fisico, coinvolgendo un numero spropositato di personaggi. Per di più, si apre la possibilità di una redenzione del colonnello, qui ben più sviluppato rispetto al capitolo precedente; l’elemento più importante, resta di fatto, il salvataggio spirituale delle vecchie generazioni dalle nuove, adesso maturate.

Nonostante non si comprenda perché, alla fine, il popolo acquatico non intervenga durante l’affondo della nave, è una forzatura che non va ad inficiare sulla qualità dei contenuti e del racconto in toto. Avatar: La Via dell’Acqua rappresenta un punto cruciale nel 2023 per il transmediale, dialogando con videogames e serie TV, sia per l’estetica che per la narrazione aperta ad un target variegato e vastissimo, in grado di coinvolgere grandi e piccini, stupendo chiunque per le nuove tecnologie e tecniche di ripresa, ma anche per le tematiche sopracitate, nonché per una genuina commozione finale dovuta alla multidimensionalità dei personaggi, ancora tutti da scoprire come il mondo da loro abitato. Una genialità visionaria quella proposta da Cameron, ancora una volta in grado di rielaborare il cinema erigendolo a uno spettacolo esperienziale, capace di fungere da aggregatore sociale dai grandi incassi e dal cuore enorme, nell’epoca dello streaming. Elemento da non sottovalutare, soprattutto se la famiglia Sully alla fine dovrà rinunciare ad un proprio componente pur di ottenere una nuova consapevolezza, lo spettatore è avvisato sulla gigantesca portata di questa nuova saga sul grande schermo. Come Star Wars, bisogna accettare che ci siano delle forzature durante il racconto della storia, un abbandono momentaneo ed evidente della logica, in favore del messaggio da veicolare: il popolo dell’acqua non interviene, ma la colonna portante della sequenza finale sono proprio i Sully, successivamente ed eternamente legati ai Metkayina, proprio dal lutto che li unisce; i Tulkun da una parte, un figlio dall’altra.

I personaggi di Avatar: La Via dell’Acqua

Kiri: per spiegare al meglio il concetto di tutt’uno con la Natura, non è da escludere che figlia della dottoressa Grace sia in realtà stata concepita post mortem solo grazie alla mano di Eywa. Se così fosse, e si aspetterà il terzo capitolo previsto per il 2024, sarà una mossa valorosa su più fronti. Innanzitutto veicolerebbe uno dei contenuti portanti della saga: l’unione imprescindibile tra creature e natura; laddove nel primo film è Sully ad essere aiutato dalla natura successivamente, qui è l’oceano con i Tulkun a cominciare la rivolta contro l’esercito del colonnello e gli esseri umani. Un’unione siglata, in futuro, da una figura potenzialmente cristologica, quale è/sarebbe Kiri. Adottata dai Sully, così come Spider, potrebbe rappresentare un primato sia in quanto elevazione della sensibilità femminile, tanto cara al cinema di Cameron, sia perché sarebbe concepita dalla natura stessa: Eywa. Più volte durante il film, l’adolescente ammettere di sentire direttamente lo spirito e le anime contenute in Eywa, anche chiamata Madre Santa (coincidenza?). Il miracolo del suo concepimento potrebbe così trovare una sua formidabile quadra, avvalorando quanto detto finora.

Il colonnello Quaritch: rappresenterebbe il cambiamento per eccellenza, una sovversione dei ruoli ed una redenzione catartica, ma solo in parte. Giocando con lo spettatore in quanto ambiguità di elementi, il colonnello non è realmente la persona di prima ma può mostrarsi sotto una diversa luce, può comprendere qualcosa di nuovo attraverso la prole e dialogando apertamente con essa. Il salvataggio finale da parte di Spider, come già scritto in precedenza, potrebbe rappresentare un’occasione di rivalutare sé stesso e il suo operato. Ma è davvero Quartich? In fin dei conti si parla pur sempre di un clone, una coscienza asportata e importata in un nuovo corpo blu. Un’apertura al futuro, nuove possibilità di scrivere un percorso diverso per un personaggio che poteva sembrare una ripetizione del primo film; ed invece dalle sembianze simili, esattamente come potrebbe fare un clone, ci sono spunti per impartire una morale differente ed offrire, al personaggio e al pubblico, un percorso evolutivo davvero incisivo.

Lo’ak: un reietto così come il suo amico Tulkun, riesce a diventare colonna portante del film. Nonostante venga ritratto come un maschietto più ingenuo delle sorelle, abilmente sensibili in quanto ragazze, Lo’ak riesce a farsi carico delle colpe del padre, quasi un colonnello per i figli sergenti. Tra lui e Sully, alla fine del film dopo il salvataggio, c’è un dialogo che porta alla comprensione l’uno dell’altro, dandosi manforte e grande forza nello spirito. La famiglia resta unita, la natura viene a legarsi maggiormente anche grazie al suo amico Tulkun.

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Christian D'Avanzo
Cinefilo dalla nascita e scrittore appassionato. Credo fermamente nel potere dell'informazione e della consapevolezza. Da un anno caporedattore della redazione online di Quart4 Parete, tra una recensione e l'altro. Recente laureato in scienze della comunicazione - cinema e televisione presso l'università degli Studi Suor Orsola Benincasa.