I migliori horror del 2022: la classifica

La classifica dei migliori horror usciti nel 2022

Giunti alla conclusione del 2022, è il momento di tirare le somme. Sono tanti e diversi i titoli rilasciati, in streaming e al cinema, in quest’annata cinematografica; è questa l’occasione per stilare tutte le classifiche del caso, spaziando da un genere all’altro. L’horror, come sempre, è uno dei prodotti più sfruttati dai registi e sono abbondanti tutti gli anni, quindi è facile riuscire a scovare il meglio e il peggio. Con il 2023 alle porte, è ora di presentare la classifica dei migliori horror del 2022, dal peggiore al migliore.

6) Scream 5, di Matt Bettinelli-Olpin e Tyler Gillett

Quinto seguito della saga cult ideata da Wes Craven. Venticinque anni dopo una serie di brutali omicidi che hanno sconvolto la tranquilla cittadina di Woodsboro, in California, un nuovo killer indossa la maschera di Ghostface e inizia a prendere di mira un gruppo di adolescenti, facendo ripiombare la città nel terrore e riaffiorare le paure di un passato che sembrava ormai sepolto. Un coraggioso modo di mescolare generi, tra la commedia dark, l’horror slasher e lo splatter, mai fuori posto e sempre intrattenente con scene ben dirette, tra macchina a mano e tagli tra figure medie e primi piani; omaggi a Wes Craven ben inseriti. Perché è coraggioso? Perché riprende la saga a distanza di anni, esattamente come tutte le saghe mainstream in questi anni. Ciò però non è tutto: non si limita nella riproposizione di meccanismi narrativi tanto cari all’opera originale, bensì ne fa un attacco al periodo storico nel quale è ambientato. Un periodo dove ad Hollywood c’è carenze d’idee e si sfornano i cosiddetti “requel”, ossia dei rifacimenti ai capitoli sacri di una saga storica, ripresi puntualmente in un seguito prodotto a distanza di un grande lasso temporale, portando poche caratteristiche originali in qualche caso. Ecco, Scream 5 è esattamente questo: un mix di nostalgia e discorsi extra diegetici, con una trama banale come banali lo sono quasi tutti i film che tentano di propinare una minestra riscaldata ai fan. Nel frattempo, una buona dose di colonna sonora cool e di sangue, riescono ad intrattenere.

5) X: A Sexy Horror Story, di Ti West

Ambientato nel 1979, una troupe cinematografica tenta di realizzare un film per adulti nelle zone rurali del Texas. Tuttavia, quando i proprietari di casa, una coppia di anziani, vengono infastiditi a tal punto da dargli la caccia, i protagonisti devono combattere per sopravvivere. Ti West propone, anche esteticamente con inquadrature a zoom lento e patina retrò, uno slasher classico come non lo si vedeva da un po’ di tempo a questa parte. Mia Goth eccelle nel suo doppio ruolo dell’anziana killer e nella protagonista intenta a girare un porno. La decisione di concentrarsi narrativamente su un solo archetipo, ossia quello del sesso, è il fil rouge di tutta l’operazione: relazioni tra i personaggi, motore d’azione per il fastidio dei villain, effetto nostalgia per un periodo passato. La tensione è graduale, specie quando c’è un certo coccodrillo di mezzo, ma a far raggelare il sangue è la frustrazione dell’anziana in combutta con suo marito; la follia dei due, genera un percorso di omicidi riuscito per messa in scena e si viene intrattenuti e anche angosciati in dei tratti. La final girl sfida le avversità, tentando il tutto per tutto. Operazione riuscita, senza eccessi e senza lode.

4) Halloween Ends di David Gordon Green

La chiusura della nuova trilogia, sequel dell’originale di Carpenter, scritta e diretta da David Gordon Green. Halloween Ends propone stilemi simili a It di Stephen King, con Michael Myers rifugiatosi nelle fogne dopo il linciaggio pubblico a cui si assiste nel capitolo precedente. Il senso della paura pervade l’opera nella sua interezza, generando frustrazione e violenza ingiustificata portata ad Haddonfield, Illinois, dal famoso killer. Green decide di virare su di un ritmo maggiormente lento per dar spazio alle relazioni tra i personaggi, le uniche due rimaste della famiglia, in particolare: nonna e nipote, che decidono di convivere. Laurie decide di scrivere un libro su quanto accaduto negli anni addietro all’ambientazione attuale, spiegando come il Male abbia diverse forme. La forma, è proprio il nucleo di quest’ultima pellicola. Non c’è respiro per nessuno, nemmeno per il killer alla fine nonostante un fil rouge teen ripreso dal film di Carpenter, perché la morale è decisamente spietata: il corpo è superfluo, ciò che conta davvero è il Male inteso come eredità, deformazione della quotidianità in una specie di incubo costante. I cittadini, dopo anni dal primo attacco durante la celebre notte di Halloween, sono infervorati, si attacco l’un l’altro e soprattutto, uccidono. L’incipit è il cuore pulsante: un giovane ragazzo, protagonista del film, preso dalla paura che nutre per Myers, accidentalmente scaraventa giù il bambino al quale sta facendo da babysitter, causandone la morte. Il ragazzo erediterà la cattiveria da killer di Michael, ma non sarà mai davvero come lui poiché mosso da vendetta, e dunque non è il Male allo stato puro.

3) Barbarian, di Zach Cregger

Inspiegabilmente distribuito direttamente su Disney+, Barbarian si è rilevato uno dei migliori horror dell’anno. La trama verte su una giovane donna che, arrivata a Detroit per un colloquio si accinge a raggiungere l’appartamento affittato. Ma arriva tardi la sera e scopre che la casa è stata prenotata due volte e uno strano uomo (Bill Skarsgård) è già lì. Contro ogni buonsenso, decide di passare lì la sera. Nonostante a primo impatto possa sembrare l’ennesimo film di genere con le apparenze che ingannano, in realtà si rivela molto più di quanto previsto. Si inizia con un rapporto instaurato tra i due personaggi presentati, per poi sfociare da quasi metà pellicola, in un susseguirsi di vicende cariche di tensione. La scoperta della protagonista nell’appartamento, va di pari passo con la scoperta dello spettatore sul vero villain o entità di questo mirabolante horror. Macchiettistico il ritratto Me Too, forse fin troppo, quando si passa al racconto dell‘uomo, proprietario della casa in questione. Resta l’importanza del sottotesto e del relativo messaggio, ma soprattutto è la claustrofobia delle scenografie a farla da padrone. Un horror che apparentemente dà l’impressione di essere piatto, si rivela elettrizzante, giocando sì con le apparenze come citato qualche riga più sopra, ma in modo quasi meta cinematografico. In sala avrebbe potuto dire la sua al botteghino, per tutte le ragioni descritte. Se all’interno del airbnb il film convince, a destare qualche sospetto è il racconto umano dei personaggi, artificioso e fintamente complesso; ma il punto forte resta l’elemento puramente horror.

2) Crimes of the Future, di David Cronenberg

Gli esseri umani stanno mutando e il dolore è quasi scomparso. In questo nuovo mondo, due artisti della performance hanno trasformato le operazioni corporee in una forma d’arte di successo e redditizia. Film manifesto del cinema di Cronenberg, ci si trova catapultati in un futuro dove i corpi, in balia di mutazioni proteiformi interiori, interne, intime e morali, non provano più dolore o forse lo confondono col piacere, affetti da un caos organico che è contemporaneamente causa-effetto, specchio ed eco di quello terrestre, dunque naturale, politico, sociale. In questo controverso futuro, l’umanità dovrà riscoprire sé stessa, ingerendo la plastica che in tutti i modi si è cercato invano di soppiantare, ma soprattutto bisogna ricercare la moralità andata perduta, scoprendo i nuovi confini sessuali (del piacere) e dell’etica artistica e sociale. Un nuovo ordine è in atto, e i nemici, chi sono in realtà? Anche in questo caso il confine è labile: da una parte viscidi e bizzarri burocrati che si ostinano a catalogare tutto, persino gli organi; dall’altra ambigui anarchici che si ostinano a manipolare, anche gli organi stessi. L’artista è in un limbo, piazzato tra queste due entità di cui non si conoscono pienamente le moralità, le buone o cattive intenzioni. E la fluidità è importante, soprattutto oggi giorno si parla tanto di società liquida. Bisogna limare i nuovi confini e ridimensionare la popolazione secondo nuove norme, altrimenti è anarchia pura. Il corpo dell’artista interpretato da Viggo Mortensen genera organi da esportare/ostentare per sfuggire ad una morte inevitabile e già presente, messa in scena anche nelle grottesche scenografie e oggetti circostanti. L’artista tende ad essere immortale, e ci prova anche in questo caso dando piacere agli occhi avidi di chi osserva, oppure tenta di autocompiacersi in certe occasioni. Tra l’altro, tutta la complessità sociale è riconducibile alla macchina costruita per l’autopsia, che è come un letto di piacere, mentale (per la scienza) e fisico (per il sesso). Ma ci si chiede quanto questa umanità possa davvero andare avanti, quanto sia considerabile spettrale questa sopravvivenza e quanto sia possibile profetizzarla. Evidente ed inquietante il senso di inadeguatezza di un corpo (anche sociale) condannato a non fidarsi di ciò che vede e a usare con scopi dottrinali, ogni tipo di strumento ottico o visivo; ma ciò è anche mirato dall’operato dell’artista, in grado di abbandonare il mondo nell’unico modo ancora sensato, con un primo piano alla Dreyer, spietato nell’enfasi.

1) Nope, di Jordan Peele

L’opera ultima di Jordan Peele, Nope, racconta in chiave horror fantascientifico la storia di fratello e sorella che gestiscono una fattoria di cavalli in California; scoprono qualcosa di meraviglioso e sinistro nei cieli, e il proprietario di un parco a tema adiacente cerca di trarre profitto dal misterioso fenomeno ultraterreno. Il film è un mix di generi in cui la storia dello spettacolo e lo spettacolo della storia coesistono e si possono quasi vedere insieme, simultaneamente, in un solo colpo d’occhio. In primis con il western per parlare di confini, con la fattoria di O.J. e Emerald da difendere dagli attacchi stranieri (alieni). I due protagonisti sono residui delle più antiche e rispettate forme di spettacolo; il loro antenato è il fantino delle prime fotografie che riproducono il movimento. Ma c’è anche un uso di animali veri, dalla sit-com anni ’90 dove l’animale si ribella (una scimmia) e diventerà anch’essa storia su cui lucrare, proprio nell’allestimento circense nel quale l’icona serpeggia, forte del suo passato. Il campo semantico del film gioca con lo sfondo sociale a cui appartengono fratello e sorella, che riproducono ciò che hanno sempre saputo fare tentando di esorcizzare lo stesso trauma: uno china la testa in segno di sottomissione dello sguardo, temendo il pericolo; l’altra ripropone continuamente spettacoli per avidi divoratori di immagini, storicamente ricchi bianchi. A loro volta però, i divoratori d’immagini sono divorati dal supremo occhio, l’alieno predatore che come un monolito, agisce senza esser conosciuto. La forma è magistrale, ma il contenuto è dirompente, cinico: il digitale ha reso l’umanità ingorda di immagini e questa ingordigia rende incapaci di distinguere un vero cavallo dalla sua riproduzione posticcia. Anche il documentarista in scena ha una sua quadra, sia in chiave western che contemporanea: è uno straniero armato di macchina da presa che si carica con pellicola e spara, come una vecchia colt. Ma il segreto dell’alto, dell’inconsapevole, deve restare tale, così come il monolito di 2001: Odissea nello spazio. In questa sconfinata e ciclica ricerca di immagini, in cui si sfalda la realtà e l’occhio non s’accorge dell’inganno, Emerald riesce a trovare la forza per lo scatto decisivo, proprio dal basso verso l’alto, salvifico per l’intera umanità che dovrà riconoscere un ruolo nella storia agli eredi del fantino senza nome (ma di colore) e soprattutto uno scatto fieramente analogico, su lastra, e pertanto unico e irripetibile. Una riflessione postmoderna sulla storia delle immagini e della società, anche a sfondo razziale. Un autentico capolavoro.

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Christian D'Avanzo
Cinefilo dalla nascita e scrittore appassionato. Credo fermamente nel potere dell'informazione e della consapevolezza. Da un anno caporedattore della redazione online di Quart4 Parete, tra una recensione e l'altro. Recente laureato in scienze della comunicazione - cinema e televisione presso l'università degli Studi Suor Orsola Benincasa.