Recensione: Sr. − Il documentario su Robert Downey Sr. distribuito su Netflix

La recensione del nuovo documentario Netflix basato su Robert Downey Sr.

Il 2 dicembre 2022 è stato rilasciato su Netflix il documentario basato sulla carriera e la vita privata di Robert Downey Senior: “Sr.”. Diretto da Chris Smith, Robert Downey Jr. introduce e accompagna troupe e spettatori lungo il percorso in casa Downey, tra i film del padre e i ricordi di una vita non sempre rosa e fiori. Le riprese sono durate anni e non era prevista una data ben precisa, ma a seguito della scomparsa di Robert Downey Sr. nel luglio del 2021, si è optato per montare il tutto e rilasciare il documentario direttamente su Netflix oltre un anno dopo. Di seguito la trama e la recensione del film documentaristico su Robert Downey Senior.

La trama di Sr., documentario su Netflix basato su Robert Downey Sr.

Si tratta di un documentario personale, siccome è incentrato sulla famiglia Downey, dedicato dal figlio al padre; Robert Downey Jr. omaggia suo padre: Robert Downey Senior. Da qui il titolo “Sr.”, nel tentativo di unire due personalità che cercano di entrare in contatto per conoscersi intimamente. Da un lato il padre, rivoluzionario per il cinema underground con una carriera partita dagli anni ’60, esordendo con un film che amplifica il complesso di Edipo, ossia Chafed Elbows (1966); da lì in avanti sono tante le pellicole consumate per girare opere low budget ma con un ingegno tale da finire nella Biblioteca del Congresso americano. Putney Swope ha ricevuto il titolo di film “culturalmente significativo”, perché attuale e pungente sin dalla locandina con il dito medio in primo piano, ma è soprattutto specchio di una società immersa nella controcultura e nella lotta ai diritti civili.

Lo spirito eclettico di Sr. e le sue battute irriverenti, in grado di inserirsi con prepotenza nel mondo underground della controcultura statunitense, sono sintomo di una comicità contagiosa a tal punto da mostrare video girati con il cellulare da Paul Thomas Anderson. Il documentario diretto da Smith si concentra sulla creazione artistica e sull’influenza che ha la personalità sulle opere girate, cambiando in corso senza delle regole ben precise ma con spirito di iniziativa e fantasia, anche improvvisando. Un approccio non lineare anche nell’educazione del figlio Robert Downey Jr, che ha ben pensato di scoprire di più sul padre e di condividere il loro rapporto con il mondo.

La recensione di Sr., il documentario in cui l’arte influenza la vita e viceversa

Il documentario su Robert Downey Sr. distribuito il 2 dicembre su Netflix, nasce come progetto senza un vero e proprio copione, ma che si è lasciato trasportare dalla genuinità dei sentimenti familiari e dalla voglia di introdurre la personalità eclettica di Downey Senior. D’altra parte, si vede che il padre dell’attore che ha interpretato Iron Man nel MCU, è agli sgoccioli dato il morbo di parkinson che lo affligge. Ciononostante non c’è un tono malinconico o volto alla tragedia per compiangere qualcuno che è scomparso da poco; bensì è il tentativo di un figlio di avvicinare sé stesso alla figura paterna e così anche lo spettatore, dato che probabilmente non si è a conoscenza della carriera di Senior. Questo è l’elemento più autentico di tutto il documentario, con Robert Downey Jr. al centro dell’attenzione il più delle volte, diventando anche lui protagonista.

Infatti, ci sono due cut a comporre il prodotto: la prima è la versione girata da Senior, molto vicina agli intenti del cinéma vérité; la seconda vede Junior confidarsi alla macchina da presa come se fosse in una seduta dallo psicologo. Entrambe le modalità rendono deliziosamente confuso il documentario, con tanto di inquadrature “al di fuori” che rendono partecipi chi guarda nella composizione stessa dell’opera di cui è in atto il montaggio. Gli approcci sono i due sopracitati, quello artistico del padre che vuole mostrare la vita così com’è dirigendo vocalmente e decidendo brevemente i punti macchina; al contrario quello del figlio, che racconta in prima persona le esperienze e il modo di fare cinema di quando il genitore era regista.

Proprio questi due approcci, purtroppo non vengono approfonditi a dovere, non generando lo scontro necessario ai fini della riflessione cinematografica. Si lasciano in superfice le motivazioni secondo le quali Junior abbia seguito una strada diversa pur cominciando dal cinema paterno, quello underground, finendo per diventare l’attore più pagato al mondo nel ruolo più pop per le generazioni contemporanee. Soprattutto mancano i dialoghi in tal senso, eventualmente la presentazioni dei diversi punti di vista, la dualità caratteriale di un regista indipendente nato da New York, vivendola appieno, e un attore formatosi a Los Angeles, incline al mainstream hollywoodiano. Il risultato è che questo accordo, con la parentesi della droga che ha accomunato entrambi nel distorcere la propria vita, addirittura facendone uso insieme (cosa di cui Sr. ammette di essersi pentito), non basta a non risultare un ottimismo e una felicità fin troppo costruita a tavolino; le immagini di baci, abbracci ed elogi, abbondano rispetto alle differenze di personalità e carriera.

Sir., un documentario coeso ma che non osa realmente

Per concludere, si può dire che il documentario Netflix su Downey Senior sia risultato coeso nell’estetica, nell’offrire un punto di vista interno alla famiglia − cosa non scontata quando si tratta di presentarla al mondo, essendo persone già famose − e soprattutto nel rendere il ritmo serrato, divertente inevitabilmente per le personalità dei Downey, comici nati come si evidenzia e Junior ne è l’erede imprescindibile. Il montaggio caotico e dinamico incolla allo schermo generando interesse per le pellicole della controcultura girate da Sr., così come li indicazioni sul girato durato 3 anni, sul come posizionarsi loro “attori” e cosa inquadrare con la macchina da presa. Si riflette sulla personalità che è rispecchia i film stessi, e su come la vita ispiri a raccontare storie per rappresentare la società con i suoi problemi e la sua poeticità.

Gli elementi mancanti sono la giusta profondità alla dualità padre-figlio, e probabilmente ad una presenza eccessiva di Junior che parla molto più che mostrare. In larga parte non c’è nulla di nuovo sul fronte personale, sono vicende già conosciute ma ricordate come contribuito finale per percorrere una strada con una persona cara, l’ultima volta. Forse avrebbe avvalorato di più coinvolgere più persone anche nei racconti personali, invece gli interventi sono pochi e brevi, ampio spazio ai due Downey protagonisti. Ma la genuinità dell’opera passa anche per questa improvvisazione e per questo vuoto generato dalla perdita del padre, rimasto sconosciuto nel mondo cinematografico e in parte anche a Junior. Le ultime inquadrature successive all’abbraccio del nipotino (figlio di Junior) al nonno, trasudano quanto appena descritto.

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Christian D'Avanzo
Cinefilo dalla nascita e scrittore appassionato. Credo fermamente nel potere dell'informazione e della consapevolezza. Da un anno caporedattore della redazione online di Quart4 Parete, tra una recensione e l'altro. Recente laureato in scienze della comunicazione - cinema e televisione presso l'università degli Studi Suor Orsola Benincasa.