The Northman: Robert Eggers tra l’onirico, l’epico e il visionario

The Northman recensione, film di Robert Eggers

Si legge Robert Eggers e vengono in mente alcune caratteristiche del suo – seppur giovane – cinema, pregno di una serie di elementi che sono stati già in grado di definire perfettamente la sua figura. Con The Northman, uscito al cinema soltanto nel 2022 a seguito di una lunga gestazione, Robert Eggers è solo al suo terzo film, eppure è riuscito già a guadagnarsi una serie di appellativi che derivano sicuramente dal suo capolavoro che, ad oggi, può essere definito maggiormente rappresentativo della sua regia: The Lighthouse. Dal “visionario Robert Eggers”, che costruisce la sua narrazione intorno ad un impianto epico e, per la prima volta, aderente al senso della tradizione culturale, deriva un The Northman che rappresenta sicuramente il modo giusto per approcciare ad uno spaccato sociale e storico. Un film che, in ultima battuta, appare sicuramente degno di ottima considerazione.

The Northman: il rischio dell’approccio al sacro culturale

In una recente epoca di coerente rivalutazione storica, che ha superato gli antichi fasti degni della regia di Ridley Scott e che poggia su un più affascinante periodo culturale pregno di caratteri epici e leggendari, la tradizione e la mitologia norrena sono diventati terreno fertile per sceneggiatori, ideatori e addetti ai lavori di ogni genere, che se ne sono serviti in più salse e, soprattutto, basando la propria narrazione su tipologie di scrittura differenti. Si può citare questo ricorso in alcune delle serie tv più recenti, tra cui Vikings, fino a toccare il mondo videoludico che nei suoi ultimi anni ha mostrato tracce consistenti della realtà norrena in lavori come God of War e Assassin’s Creed: Valhalla. Indipendentemente dalla qualità di questi prodotti e non rientrando nel merito della loro scrittura, appare ormai chiaro che il norreno, il senso del leggendario e di figure mitologiche che vanno oltre il senso della “tradizionale divinità occidentale” caratterizzi un esercizio stilistico e narrativo per addetti ai lavori che hanno bisogno di una idea forte e – per certi versi – lontana dalla convenzione.

Il rischio, in quest’ambito, è creare prodotti che siano sempre troppo uguali, o per trattamento superficiale della materia, o per una mancanza di volontà nell’assumersi una responsabilità di subentrare in una dottrina culturale sicuramente complessa. Robert Eggers, per realizzare The Northman, si è servito di un supporto particolarmente importante nella realizzazione della sceneggiatura, Sjón, già noto nel panorama islandese per le sue numerose opere letterarie e poetiche, oltre che per la realizzazione di alcuni brani cantati da Björk, anch’ella presente all’interno del film. Il trattamento risultante della materia è sicuramente soddisfacente: The Northman costituisce un corretto adattamento dell’episodio di Saxo Grammaticus, già conosciuto nella realtà occidentale grazie alla tragedia shakespeariana che vede protagonista l’Amleth di cui si parla, con tinte diametralmente opposte, all’interno del film. Allo stesso tempo, per quanto l’aderenza sia precisa e l’epica resta tale senza mai sembrare grezza, noiosa o eccessivamente rimaneggiata stilisticamente, non mancano note di linguaggio personale, che permettono di scorgere un Robert Eggers sicuramente a suo agio anche in uno stile che non l’aveva ancora interessato prima.

Le scelte di regia che convincono in The Northman

Al fine di prendere in considerazione i motivi che portano a parlare di un film sicuramente riuscito e che mostra una serie di caratteristiche di grande valore, non si può non muovere i passi da quelle scelte di regia che permettono di inquadrare perfettamente il lavoro di Robert Eggers. Il regista mostra se stesso in una serie di scelte, che appaiono – a questo punto della sua filmografia – tipiche rispetto alla qualità del suo lavoro, oltre che convenzionali in un’ottica di semplificazione del suo lavoro. L’atteggiamento a tratti “monotono” (la stessa scena, strutturalmente e concettualmente parlando, che si ripete in più momenti del film) della sua regia non è mai motivo di noia o di pesantezza, quanto più di una volontà di stabilire delle pietre miliari all’interno della sua realizzazione; in The Northman la scelta ricade sulla selezione di quelle scene in cui si può osservare l’albero della vita, il passato e il futuro del protagonista Amleth; una scena del genere, a dire il vero, potrebbe ricordare quella che – quasi ossessivamente – viene proposta da Denis Villeneuve in Dune, per adattare il meccanismo della prescienza e della visione esatta degli attimi del futuro che ha il protagonista Paul Atreides.

Questo atteggiamento si accompagna, però, anche ad una volontà di creare un loop stimolante e aggressivo, che sia in grado di coinvolgere lo spettatore nella dinamica del turbine: in molte delle scene che si osservano, ci si ritrova sempre nella stessa atmosfera volontariamente costruita del regista, in cui si è così tanto catturati dalla scena che, indipendentemente da ciò che si osserva, non si riuscirebbe a distogliere lo sguardo. Il martellare dei tamburi segue il battito cardiaco del personaggio e, di riflesso, quello dello spettatore: è la panoramica di un’ansia crescente, di un procedere sempre più accelerato, di una voglia quasi viscerale che quella scena stessa finisca, di un disperato bisogno di verità che viene offerta solo a seguito di una dura prova di (sana) sopportazione dell’immagine, del suono e della narrazione in un climax costantemente crescente che sfianca così tanto da lasciare, nel suo attimo di distensione successiva, un senso di tranquillità e respiro. Una regia di questo genere, che soffoca nel suo senso intestino ma che non atterrisce mai del tutto lo spettatore (anzi, lo fa vivere in maniera più frenetica ed energica) riesce sicuramente nel suo intento, soprattutto nei riguardi di una narrazione non facile e che, altrimenti, vivrebbe di un trattamento forse non eccessivamente mordente.

Di natura ben più tecnica, ma è pur sempre di linguaggio che si parla, è il meraviglioso piano sequenza (ottenuto anche grazie a un pregevole montaggio) che si osserva nelle fasi iniziali del film: un Amleth completamente nuovo rispetto a quel bambino osservato fino a poco prima devasta un villaggio, saccheggia, uccide e rade al suolo un gruppo di esseri umani senza proferire parola, in una distensione incredibile garantita dalla pulizia della scena e dal suo legante garantito da un’inquadratura di grandissimo valore. E’ il modo migliore per osservare sangue, massacro e cruento, in una visione sicuramente affascinante e tutt’altro che priva di senso.

Fotografia e comparto tecnico di The Northman

Un ottimo film, soprattutto se aderente alla materia di The Northman e realizzato in virtù di un lavoro corale di grandissimo valore, non può vivere soltanto del suo ambito di regia, ma si struttura anche sulla base di un lavoro sotto ogni punto di vista. La realtà tecnica che riguarda The Northman è sicuramente degna di grandissima considerazione, a partire dal lavoro dei numerosi attori presenti sul grande schermo, passando per un comparto di natura tecnica, fotografica e non solo. Quanto alla fotografia, si tratta della terza collaborazione (per tre film) del regista con Jarin Blaschke, che aveva già firmato un’opera di pregio come The Lighthouse e che aveva mostrato tutta la sua grande qualità anche all’interno del primo film diretto dal regista, The Witch.

Ancora una volta la fotografia è una delle note di merito da citare assolutamente: basti pensare alla sola scena finale del film, svolta in un contesto naturalistico in cui fumo, fiamme, lava e natura si mescolano in una realtà incredibilmente evocativa, in grado di nascondere perfettamente i personaggi (che non sono i protagonisti della scena in questione) lasciano allo spettatore la bellezza dell’immagine, la suggestione di una scena meravigliosa e il clima epico dell’intera osservazione. E ancora, intravedere personaggi solo attraverso il focolare, la creazione di giochi di luce e buio, oltre che le immagini nitide dell’impianto scenografico, sono tutte caratterizzazioni incredibilmente spettacolari, che permettono di godere del film al meglio.

About the Author

Bruno Santini
Laureando in comunicazione e marketing, copywriter presso la Wolf Agency di Moncalieri (TO) e grande estimatore delle geometrie wesandersoniane. Amante del cinema in tutte le sue definizioni ed esperto in news di attualità, recensioni e approfondimenti.