Don’t Worry Darling: il nuovo film di Olivia Wilde tra polemiche, maschilismi e sperimentazione

Recensione di Don't Worry Darling

Era stato accolto da numerosissime polemiche, dichiarazioni che erano sembrate fuori luogo e indiscrezioni che poco avevano a che fare con la pellicola in questione; la distribuzione di Don’t Worry Darling, presentato in anteprima (e non in concorso) al Festival del Cinema di Venezia del 2022, per una serie di motivazioni, era stata anticipata da un clima tutt’altro che disteso e tranquillo e, per questo motivo, il film è diventato fin da subito un evento cinematografico, anche se per motivi lontani dalla mera cinematografia. Il risultato di un prodotto di poco più di due presenta una serie di pregi e difetti, che si alternano sul grande schermo e che rendono l’idea di una regia ancora troppo acerba di Olivia Wilde che, in questo caso, ha aumentato notevolmente il livello tecnico del suo film. Ecco tutto ciò che c’è da sapere a proposito della recensione di Don’t Worry Darling, il nuovo film di Olivia Wilde con Florence Pugh ed Harry Styles nei panni dei protagonisti.

La trama di Don’t Worry Darling e la gestione dei plot twist all’interno del film

Al fine di inquadrare Don’t Worry Darling di Olivia Wilde attraverso una serie di definizioni tecniche e contenutistiche, il primo elemento degno di considerazione è relativo alla trama del prodotto cinematografico; la definizione della trama di Don’t Worry Darling non è semplice, in virtù dei numerosi elementi presenti all’interno del film, oltre che per i numerosi capovolgimenti di trama che iniziano a moltiplicarsi sullo schermo ad un certo punto della pellicola. La gestione dei plot twist, in effetti, rappresenta sicuramente uno degli elementi più critici del film, che fatica ad esprimersi attraverso un certo tipo di equilibrio, soprattutto nella sua seconda parte.

Quella che viene presentata è una comunità particolarmente ristretta di individui, che vivono in un’apparente serenità e in rapporti di coppia che sembrano funzionare tutti perfettamente: il fattor comune di ogni coppia è rappresentato dal fatto che tutti gli uomini della piccola comunità si recano contemporaneamente, ogni giorno, alla base operativa del progetto Victory, dove vengono prodotte tecnologie per l’innovazione della vita quotidiana; le donne, invece, devono curare la casa in tutti i suoi aspetti: a loro spettano i compiti di pulizia, manutenzione della casa e cucina, oltre che la pazienza nell’attendere i propri compagni di ritorno a casa. La situazione felice inizia a cambiare, per la protagonista, quando – in occasione della festa realizzata da Frank, il personaggio di maggiore spicco nella comunità – una delle donne si dimostra sconvolta e dichiara che l’intero mondo mostrato alle donne è una menzogna. Alice, interpretata da Florence Pugh, verrà dunque a contatto con la base operativa del progetto Victory, dopo aver a lungo passeggiato nel deserto, avendo osservato un aereo schiantarsi; il contatto le fa vivere una realtà onirica particolarmente confusionaria, dalla quale Alice si risveglia nel suo letto.

Per quanto sembrasse soltanto un sogno in apparenza, ciò che ha visto la protagonista inizia a creare un turbamento, che diventa ancor più marcato dopo aver osservato il suicidio di Margaret (la prima che aveva parlato delle menzogne del mondo in cui le donne vivono), che decide di tagliarsi la gola; la morte di Margaret, inoltre, viene costantemente negata dal medico della comunità, oltre che da tutti gli altri membri, e ciò contribuisce al pensiero di un comportamento sempre più schizofrenico da parte della protagonista, che inizia ad essere monitorata nei suoi atteggiamenti. Quando, in occasione di una nuova festa organizzata da Frank (che permette al compagno di Alice, Jack, di entrare in un Consiglio elitario), Alice si confida con Bunny, sua amica e vicina di casa, si rende conto di essere sempre più sola e incompresa. Per questo motivo, decide di agire da sola nel cercare di sventare i piani di Frank che, naturalmente, si rivela molto più abile nel controbattere alle sue parole.

Nel cercare di convincere Jack ad abbandonare la comunità, che sembra essere frutto di una menzogna, Alice vede dapprima l’assenso da parte del compagno, poi si rende conto della trappola: verrà prelevata da alcuni agenti della comunità e sottoposta a elettroshock, trattamento con cui le sarà possibile ricordare; prima di entrare nella comunità era un neurochirurgo, che aveva iniziato a lavorare per la maggior parte delle sue ore, allontanandosi dal compagno che intanto aveva perso il suo lavoro. Per questo motivo, il loro rapporto era diventato sempre più difficile; reintegrata nella comunità, Alice rivive la sua intera vita a partire da una canzone sussurrata da Jack, che le permette di aderire alla realtà di cui è passivamente schiava: Jack, sempre più lontano da Alice per il troppo lavoro, ha deciso di aderire ad un programma sponsorizzato da Frank, che permette di costruire una realtà virtuale che può controllare attraverso sensori ottici. Mentre Alice (e tutte le donne presenti nella città virtuale) vive costantemente nella simulazione, Jack abbandona la stessa – attraverso l’espediente dell’andare a lavoro – in modo da permettersi di pagare la realtà virtuale, che simula un ideale di perfezione di vita a cui non può ambire altrimenti.

Di fronte alla verità scoperta, Alice uccide Jack e scopre da Bunny (unica donna che ha aderito volontariamente alla simulazione) che chi muore nella realtà virtuale deve morire anche nella vita reale; per questo motivo, dovrà scappare, raggiungendo la base operativa del progetto Victory e uscire dalla simulazione. In un inseguimento finale che provocherà la morte di diversi agenti (oltre che di Frank, ucciso dalla sua compagna Shelley), Alice riuscirà a salvarsi toccando la piattaforma e rivivendo le stesse immagini che aveva visto la prima volta, a dimostrazione del fatto che la sua uscita dalla simulazione sarà avvenuta.

I plot twist presenti all’interno del film Don’t Worry Darling

Si giunge al primo punto focale della recensione di Don’t Worry Darling, film diretto da Olivia Wilde con Florence Pugh ed Harry Styles nei panni dei protagonisti. La gestione dei plot twist presenti all’interno del prodotto cinematografico appare stentata, poco equilibrata ed animata da una voglia di dimostrare che tende a sovraccaricare particolarmente le pellicola: giunti alla seconda metà del film, attraverso una conduzione che non appare sensazionale nei suoi aspetti ma che – comunque – restituisce molto dell’equilibrio al prodotto cinematografico, rendendo ben chiara la disposizione della trama e comprensibile (nonché facilmente pronosticabile) verso quale finale ci si stesse avvicinando, il modus operandi cambia particolarmente, cedendo al caotico e sacrificando quanto di buono ottenuto in virtù di un minestrone incredibile di eventi, condensati quasi contemporaneamente all’interno della pellicola.

Il finale del film Don’t Worry Darling che, benché voglia essere sfumato nella dinamica del non detto, appare francamente scontato e facilone, è il risultato di una serie di eventi che potevano essere sostanzialmente evitati, dal momento che contribuiscono solo ad appesantire ulteriormente una trama che, fino ad un certo punto del suo svolgimento, era apparsa lineare e semplice nei suoi aspetti. A che cosa serve, ad esempio, la morte di Frank (ucciso e denigrato in punto di morte all’interno del progetto Victory) che non comporta alcun miglioramento o incremento del finale così presentato? Perché il plot twist relativo allo svelarsi della dinamica di realtà virtuale viene presentato quasi in due atti, provocando una sovrapposizione tra le narrazioni che non giova alla comprensione dello spettatore? Si direbbe a poco o nulla e, pur accogliendo la visione secondo la quale tutto faccia parte di un grande eccesso dimostrativo, non se ne riuscirebbe a comprendere il motivo, adducendo tutto a una sceneggiatura semplicemente scritta male.

In definitiva, forti della grandissima esperienza che prodotti cinematografici e seriali, come Black Mirror, hanno già offerto attraverso i loro contenuti, l’idea che quella raccontata fosse una comunità assolutamente ideale non appariva sicuramente inedita nella sua rappresentazione, così come il plot twist portato in essere sul grande schermo non ha assunto i caratteri della sorpresa e dello shock.

I meriti del film e gli aspetti tecnici che funzionano

Nel complesso, non si può certo dire che Don’t Worry Darling sia un film che non funziona nella sua rappresentazione; per quanto non si possa gridare al capolavoro di genialità, il film diretto di Olivia Wilde si serve – in modo intelligente – di diverse figure professionali che operano bene all’interno dei loro campi, e che permettono alla pellicola di restituire un’immagine sicuramente molto gradevole, che funziona sul grande schermo. La fotografia di Matthew Libatique è ben realizzata, a dimostrazione del grande impegno del direttore della fotografia che ha già collaborato, in carriera, in thriller e rappresentazioni horror di ancor più pressante stile, soprattutto con Darren Aronofsky; stesso dicasi anche nelle scenografie, che permettono di realizzare anche strutturalmente il senso di una chiusura claustrofobica che ricorda, molto da vicino, quella pressione (soltanto iniziale) che Under The Dome sapeva offrire con il suo effetto cupola.

Buona, a dirla tutta, anche la colonna sonora, che permette di scandire soprattutto i diversi momenti della trama per mezzo di un impegno che non permette soltanto di assecondare gli aspetti narrativi – sarebbe stato molto più semplice e, per certi versi, consequenziale dato l’impianto della sceneggiatura -, ma addirittura di guidarli e determinarli. In alcuni punti della narrazione, infine, appare ben misurato anche il montaggio che, per quanto dipenda dalla volontà di linguaggio di un regista, risente sicuramente del lavoro di Affonso Gonçalves (già collaboratore assiduo di Ira Sachs, Todd Haynes e Jim Jarmusch): le sequenze reiterate e quasi ossessive con caffè-toast tagliato a metà e imburrato-fetta di carne cucita in bistecchiera, a sottolineare quel carattere di monotonia spasmodica di cui il film vuole essere interprete, sicuramente funzionano, così come appaiono curiose altre scelte che si propongono di avere un senso più profondo, da capire dopo una seconda visione: Alice che guarda se stessa, all’interno della vasca da bagno, distorcendo l’immagine allo specchio ricorda molto da vicino la perversione di Norman Osbourne in Spiderman, quando inizia a parlare con Goblin attraverso uno specchio, per quanto in questo caso l’idea di dialogo venga sostituita da un breve sguardo interrogativo.

L’interpretazione degli attori in Don’t Worry Darling

Altro punto particolarmente critico della pellicola Don’t Worry Darling è determinato dalla scelta degli attori che, per certi versi, appare completamente sbagliata e legata da finalità commerciali (come poi si sono rivelate essere) e non artistiche. La logica dello scegliere l’attore belloccio per il ruolo di un personaggio freddo, impassibile o comunque non troppo emotivamente coinvolto all’interno di un film appare cosa vecchia, anche per il mercato cinematografico: si è ben lontani dagli anni in cui una pellicola potesse essere vinta dal sorriso, dalla bellezza o dalla giusta acconciatura dei capelli e, a dire il vero, la stessa scelta di Harry Styles all’interno di Don’t Worry Darling non sembra essere mossa esclusivamente dalla volontà di attirare automaticamente utenza. Cos’è che, dunque, ha determinato la scelta di questo attore per un ruolo che – al di là di ogni aspetto – appariva essere piuttosto complesso?

La scelta di Harry Styles per il ruolo di co-protagonista

La scelta di Harry Styles non è sbagliata in quanto tale, dal momento che nulla vieta ad un cantante di approcciare al mondo del cinema; eppure, vanno offerte delle precisazioni in merito: Harry Styles ha recitato per qualche secondo all’interno di un prodotto Marvel come Eternals e all’interno del film Dunkirk, sostanzialmente la sua unica esperienza cinematografica pregressa; c’è differenza, però, tra recitare con un maestro maniacale della regia come Christopher Nolan e farlo con una regista che, per quanto qualitativa, appare ancora acerba in molti dei suoi aspetti come Olivia Wilde. Il risultato è chiarissimo: negli aspetti lineari e tranquilli della pellicola Harry Styles regge benissimo, mentre non si può dir lo stesso di qualsiasi altro momento in cui l’asticella deve essere alzata: le urla, le scene di sesso, il ballo impazzito e maniacale che Jack compie all’interno del film restituiscono soltanto un grande imbarazzo per cui non si vuole certo biasimare Harry Styles, che – anzi – fa il massimo dati i suoi ancor troppo evidenti limiti attoriali, quanto più criticare la scelta di un attore che risulta essere tutt’altro che marginale all’interno della pellicola. A dirla tutta, se il minutaggio di Harry Styles fosse stato ridotto all’interno della pellicola, ognuno dei summenzionati problemi non sarebbe stato avvertito.

Resta l’amaro in bocca, a proposito di un ruolo che sarebbe potuto essere meglio interpretato da tanti altri attori che hanno già dimostrato di essere magistrali anche vestendo panni apparentemente anaffettivi e privi di enorme pathos, escludendo Shia LeBeouf che inizialmente era stato preposto per il ruolo: Evan Peters, Barry Keoghan o addirittura Alex Lawther sarebbero stati perfetti in un ruolo di questo genere, probabilmente alzando il livello del film in modo notevole.

Florence Pugh e la sua interpretazione in Don’t Worry Darling

Se per Harry Styles non è certamente difficile cercare di comprendere quali siano gli aspetti critici, la valutazione a proposito dell’interpretazione di Florence Pugh appare differente. L’attrice, che ha assunto sempre più il ruolo di pomo della discordia nei mesi precedenti alla distribuzione del film, riesce ad essere sicuramente l’elemento di traino del film, oltre che il motivo per cui la carica emotiva e sentimentale del prodotto cinematografico riesce ad essere ben percepibile. Si tratta, però, anche in questo caso di un aspetto che continua a lasciare il tempo che trova: non ci si può certo avventurare nel descrivere l’interpretazione di Florence Pugh sbagliata (anzi, per molti addetti ai lavori si tratta dell’unico elemento notevole della pellicola), ma anche in questo caso manca quel mordente, quel motivo necessario affinché la si possa valutare come un qualcosa di realmente esatto e ben realizzato. A dirla tutta, chi scrive preferisce maggiormente le sfumature sardoniche e irriverenti del ruolo di Chris Pine, per quanto ampiamente stereotipato nei suoi aspetti.

Il punto debole di Don’t Worry Darling è nella sceneggiatura

Al fine di offrire una conclusione di Don’t Worry Darling, si cerca di identificare il vero punto debole del film diretto da Olivia Wilde, che risulta certo essere manchevole di molti aspetti (soprattutto in termini di recitazione), ma che trova nella sua pessima sceneggiatura il motivo per cui non riesce a piacere, nonostante il buon significato del film che affonda in un’analisi – neanche troppo complessa e viscerale – del maschilismo e della sua condotta. La narrazione guidata da Katie Silberman appare sovente confusionaria, gonfia in molti dei suoi aspetti, poco equilibrata e – in definitiva – non capace di restituire lo stesso pathos allo spettatore in tutti i 121 minuti della pellicola. Non si riesce bene a capire, a dire il vero, se la prima parte del film sia troppo prolungata o se la seconda sia troppo accelerata, e quest’effetto di ambivalenza chiassosa penalizza notevolmente la pellicola, che disperde gran parte dei suoi atteggiamenti positivi in un mare magnum di errori banali e acerbi, che fanno pensare ad un lavoro realizzato da parte di chi non abbia assolutamente esperienza in fatto di scrittura.

Citazioni continue e quasi maniacale, esercizi di stile e sperimentazioni là dove c’è – invece – bisogno di raccontare e chiarire, squilibri e scatole cinesi che non sembrano mai chiudersi, un finale accelerato e troppo rapido, stentato nei suoi atteggiamenti ed elementare nella sua rappresentazione: la sceneggiatura di Don’t Worry Darling dimostra che anche il miglior film tecnicamente realizzato può perdersi se raccontato male. Una grande opportunità mancata, dunque, per una serie di motivi, è quella che viene percepita dagli spettatori, che si trovano a metà tra l’esultare per il finale del film e compiangere le modalità con cui ci sono arrivati.

About the Author

Bruno Santini
Laureando in comunicazione e marketing, copywriter presso la Wolf Agency di Moncalieri (TO) e grande estimatore delle geometrie wesandersoniane. Amante del cinema in tutte le sue definizioni ed esperto in news di attualità, recensioni e approfondimenti.