I cinque film più esteticamente appaganti da vedere

Grand Budapest Hotel, film più esteticamente appaganti

Il mondo del cinema è stato concepito e realizzato, nel corso della sua storia, non sempre attraverso un insieme di criteri contenutistici. Esistono numerosi registi che hanno tentato di ideare dei prodotti che non siano caratterizzati solo da motivi di trama o di interpretazione attoriale, ma anche da pregi estetici e fotografici. In molti casi, il risultato è la creazione di lavori estetici particolarmente importanti, che spiccano per un senso di appagamento e di benessere che potrebbe essere percepito da parte degli spettatori. Sulla base di queste considerazioni, si possono prendere in considerazione i cinque film più esteticamente appaganti da vedere e, soprattutto, in grado di restituire un certo benessere per tutti gli amanti di fotografia, stile e regia impeccabili.

The Batman – Matt Reeves

Il primo tra i cinque film più esteticamente appaganti da vedere è l’ultimo che, nella lista, ha trovato la sua distribuzione cinematografica. Il Batman diretto da Matt Reeves era particolarmente atteso per una serie di motivi che riguardavano anche e soprattutto il trattamento del personaggio di Bruce Wayne, bene interpretato da un Robert Pattinson che – a posteriori – è stato da molti definito come uno dei migliori Batman della storia del cinema. Il pregio impeccabile di questo lavoro cinematografico è sicuramente nella caratterizzazione dei personaggi, oltre che nella possibilità di realizzare contesti, ambienti e altre tipologie di trattamento molto vicine al fumetto.

Tuttavia, il merito fondamentale è in una fotografia sicuramente importantissima: Greig Fraser, che ha già lavorato in Dune realizzando un ottimo lavoro nel concepimento di contesti e ambienti di altri pianeti, è riuscito perfettamente a rendere l’idea della realtà di Gotham in cui Batman vive costantemente – e non a intervalli di giorno/notte che gli altri registi difficilmente erano riusciti a superare – nell’ombra. E’ impeccabile il trattamento del buio all’interno della pellicola: in alcune scene gli unici motivi di luce sono rappresentati, ad esempio, dagli spari delle armi utilizzate dagli scagnozzi di Carmine Falcone, o dall’effetto dello spray con cui Bruce Wayne cerca di ricostruire la sua storia. Benché possa sembrare una difficoltà per i soli attori, la resa estetica del buio è difficilissima anche per gli addetti alla fotografia che, in questo prodotto, hanno realizzato un lavoro magistrale aumentando considerevolmente il livello della pellicola.

Grand Budapest Hotel – Wes Anderson

Quando si parla di Wes Anderson la garanzia di lavoro esteticamente impeccabile non può assolutamente mancare. Nel corso della sua carriera, si può guardare ai lavori cinematografici realizzati dal regista statunitense attraverso una prospettiva d’insieme che permetta di identificare ogni possibile carattere positivo della cinematografia wesandersioniana. Grand Budapest Hotel è sicuramente il film più rappresentativo del regista, per quanto si possa – senza alcun problema – citare anche un altro prodotto come Moonrise Kingdom, o il più ben recente The French Dispatch, per ottenere la medesima caratterizzazione dell’estetica del prodotto. Il fattor comune di questi film è la collaborazione con Robert Yeoman, particolarmente attivo in quanto a direzione fotografica; allo stesso tempo, è impensabile non citare parte delle numerose convinzioni del regista Wes Anderson a proposito di numerose scelte estetiche che, come risultato, offrono un effetto visivo incredibilmente efficace.

Sulla base alle diverse epoche rappresentate all’interno del film, sono tre i diversi formati presenti nella pellicola in questione: 1,37:1 per il 1932, 2,35:1 CinemaScope per il 1968 e 1,85:1 per il presente. In secondo luogo, la fotografia si presenta attraverso un insieme di caratteristiche sicuramente originali, oltre che estranianti rispetto alla tipologia di cinema aderente all’epoca rappresentata: attraverso un’illuminazione calda e diffusa, che sacrifica il più standardizzante utilizzo di luci direzionali e ombre marcate, l’idea generale ricreata è quella di inquadrature perfettamente centrali ed evocative, all’interno delle quali il protagonista della scena è sempre perfettamente posizionato e rappresentato. Oltre tutto, l’effetto miniatura, che risulta essere principale nella maggior parte delle pellicole di Wes Anderson, è ancora una volta perfettamente rappresentativo del film in questione, realizzato – spesso – attraverso un modello in scala 3 metri di altezza. Il film ha ricevuto nove candidature nel contesto dei Premi Oscar 2015, tra le quali spiccano quelle per migliore fotografia e migliore scenografia ad Adam Stockhausen e Anna Pinnock, che hanno ottenuto la tanto ambita statuetta.

Birdman – o (L’imprevedibile virtù dell’ignoranza) – Alejandro González Iñárritu

Frutto di un incredibile anno cinematografico, che ha visto la realizzazione di prodotti come il già citato Grand Budapest Hotel, oltre che altri film come American Sniper, Boyhood, The Imitation Game, La teoria del tutto, Selma e Whiplash, Birdman rappresenta uno dei lavori meglio riusciti del regista, sceneggiatore e produttore cinematografico messicano Alejandro González Iñárritu. Il regista di Revenant è stato in grado di realizzare un lavoro che non può che definirsi spettacolare dal punto di vista prettamente estetico, sulla base di un utilizzo magistrale del piano sequenza che imperversa all’interno della pellicola in questione.

Contenutisticamente evocativo e molto ben recitato, date le presenze sicuramente importanti di Michael Keaton ed Edward Norton, Birdman è un film che non dà mai il senso di sospensione e freno, sulla base di una regia costantemente fluida. L’effetto così incredibilmente massivo del piano sequenza, dettato da una certa originalità di riprese che mostrano tutti i contatti con una tradizione cinematografica che fa capo a grandi nomi della storia del cinema (come Orson Welles), permette di godere del film attraverso una prospettiva d’insieme molto rara per uno spettatore. Allo stesso tempo, il piano sequenza è anche l’artificio tecnico che permette di interrompere il naturale freno che potrebbe essere avvertito dato il naturale trascorrere del tempo: per questo motivo, anche quando da una scena all’altra sono diversi i minuti, o le ore di differenza, lo spettatore riesce ad avvertire tutto come se facesse parte di un’unica e incredibilmente ampia scena. La fotografia, da Premio Oscar, è di Emmanuel Lubezki, che ha collaborato con il regista messicano anche per Revenant.

L’incredibile effetto risultante delle tecniche utilizzate all’interno della pellicola è quello di un enorme mosaico in grado di funzionare in modo concentrico: il film mostra se stesso attraverso la realtà fittizia di un meta-set teatrale e, data la rottura di un’ideale quarta parete (nel set in questione) realizzata attraverso l’eccentricità di Edward Norton, l’effetto che può essere avvertito è quello di un costante loop di film nel film, che permette di godere del prodotto non soltanto in modo orizzontale, dato il suo scorrere, ma anche in modo trasversale, godendone completamente.

The Lighthouse – Robert Eggers

The Lighthouse è sicuramente uno dei lavori più ambiziosi degli ultimi anni. Realizzato da Robert Eggers, sulla base di un soggetto di Edgar Allan Poe (che inizialmente voleva essere adattato da suo fratello Max) poi completamente tralasciato, il film in questione riesce perfettamente a rappresentare tutta l’inquietudine e il senso di orrido che riguarda la vita umana, in una delle sue rappresentazioni. Nel film in questione, la scarne e importantissime interpretazioni di Willem Dafoe e di Robert Pattinson riescono ad alzare notevolmente il livello della pellicola che, di per sé, non si serve di nessun altro artificio che non sia quello dei suoi contenuti. La rappresentazione dello stato d’animo umano che avviene all’interno del film – date le intenzioni di Robert Eggers – non era assolutamente semplice, ma è stata resa possibile da un insieme di fattori.

Di sicuro, il bianco e nero perfettamente reso all’interno della pellicola aumenta notevolmente il livello della stessa, permettendo di restituire anche un senso di estraneità spaziale e temporale, oltre che l’idea di un’evasione dalla materia concreta stessa, che non caratterizza certo il senso di una pellicola che vuole essere portatrice di ben altri significati. La fotografia di Jarin Blaschke, che ha collaborato con Robert Eggers in tutti e tre i suoi film, è incredibilmente rappresentativa, tanto da aver comportato una nomination agli Oscar per lo statunitense. La risultante di questi elementi è un’estetica incredibilmente colma di valore, che permette di godere del film nel modo migliore possibile.

Vizio di forma – Paul Thomas Anderson

Paul Thomas Anderson è, sicuramente, uno dei registi più originali nella tradizione cinematografica contemporanea. I suoi lavori, attraverso un ideale costantemente confusionario ed eccentrico, riescono a riflettere perfettamente il senso della distruzione umana; in Il petroliere, uno dei lavori più importanti del regista, la caratura politica ed ideologica, che permette di offrire una feroce condanna del capitalismo, si accompagna a quei temi che sono stati sviscerati, attraverso tanti lavori, nel corso della carriera del regista che – non a caso – si è sempre servito di nomi molto importanti per rendere anche esteticamente il suo presupposto puramente culturale.

In Vizio di forma, in cui l’ideale estetico di Joaquin Phoenix risulta – fin da subito – spiccare per un senso dell’orrido e del grossolano particolarmente visibile da parte dello spettatore, la regia sembra essere quasi “sporca” e avara di tecnicismi. Eppure, attraverso uno sguardo molto attento, ci si rende conto di tutti i pregi estetici che caratterizzano la regia di Paul Thomas Anderson: inquadrature perfettamente mirate, scorci di sfondo e paesaggio che dominano costantemente il personaggio, confusione generale resa attraverso un insieme di immagini che difficilmente possono essere immaginate all’interno della stessa inquadratura, posizionamenti di cose e persone apparentemente randomici e tanto altro ancora. Il risultato di questo processo è una vera e propria meraviglia per gli occhi, che restituisce un senso di appagamento generale.

About the Author

Bruno Santini
Laureando in comunicazione e marketing, copywriter presso la Wolf Agency di Moncalieri (TO) e grande estimatore delle geometrie wesandersoniane. Amante del cinema in tutte le sue definizioni ed esperto in news di attualità, recensioni e approfondimenti.