I film di Wes Anderson dal peggiore al migliore

Wes Anderson i film dal peggiore al migliore

Wes Anderson è sicuramente uno dei registi più rappresentativi e pregni di un grandissimo successo nell’ambito della storia del cinema contemporaneo. Il regista statunitense, che ha innovato e creato un vero e proprio linguaggio cinematografico nell’ambito della sua carriera, ha avuto modo di realizzare ben 10 film nell’ambito della sua filmografia, potendo spesso contare su un cast particolarmente ricco di attori e addetti ai lavori di grandissimo livello; a partire dalla storica collaborazione con il compositore francese Alexandre Desplat, fino a considerare il direttore della fotografia, Robert Yeoman, passando per i tantissimi attori che hanno fatto parte delle sue pellicole, i nomi che hanno gravitato intorno a Wes Anderson hanno bisogno di ben poche presentazioni. Vale la pena indicare nel dettaglio tutto ciò che c’è da sapere a proposito dei film del regista statunitense, indicandoli in un’ideale classifica assolutamente soggettiva, a partire dall’ultima posizione fino alla prima.

Un colpo da dilettanti

Al posto più basso della classifica dei film di Wes Anderson un prodotto cinematografico che fatica ad esprimere le volontà linguistiche del regista statunitense; come spesso accade nella storia del cinema, non è il primo film a dimostrare le reali abilità di un regista che, piuttosto, inizia a sperimentare tastando il terreno dell’innovazione. Per Wes Anderson, questo terreno si configura attraverso un nome nello specifico: Owen Wilson. Per quanto possa apparire come una limitazione, i due amici e collaboratori offriranno il senso del grande cinema d’autore nel corso degli anni, per quanto in questo film manchi ancora molto del grande (e prezioso) lavoro che riguarderà proprio il regista statunitense.

La formula del movimento continuo – che sarà poi protagonista in Il treno per il Darjeeling, anche se in formato road movie – e la voglia di stupire lo spettatore certamente non mancano, così come il ricorso a un linguaggio che, in alcuni punti, regala ottimi spunti e battute di livello. Eppure, si è ben lontani da quei fasti che riguarderanno, soltanto a distanza di anni, il regista nell’ambito della sua filmografia.

Rushmore

Per quel che concerne il secondo film di Wes Anderson, Rushmore, si potrebbero offrire gli stessi elementi che sono stati indicati per quanto riguarda Un colpo da dilettanti. Wes Anderson ha faticato molto a trovare una sua esatta dimensione nel campo della storia del cinema, soprattutto in virtù di un linguaggio non semplice da rappresentare ed esternalizzare all’interno di un prodotto cinematografico. Per questo motivo, Rushmore appare ancora una volta un prodotto carico di innovazione e sperimentazione, due caratteristiche che, se non fatte seguire da un impianto contenutistico e tecnico ottimale e ben organizzato, si risolvono nella più assoluta delle confusioni.

Certamente, a differenza del primo film che aveva mostrato una realtà particolarmente caotica, per quanto attrattiva sotto certi termini, il secondo riesce a comunicare molto più dell’integrità e dell’identità di Wes Anderson, che raggiungerà un compimento proprio attraverso il terzo film del regista statunitense; nonostante ciò, a ragione, il regista è stato premiato tra i migliori indipendenti e soprattutto tra i nuovi volti del cinema contemporaneo, proprio attraverso questo film che, in qualche modo, potrebbe essere definito come il vero e proprio esordio di Wes Anderson.

Le avventure acquatiche di Steve Zissou

Il motivo per cui Le avventure acquatiche di Steve Zissou si ritrova in una posizione piuttosto bassa in classifica deriva, essenzialmente, da una duplice visione del prodotto cinematografico stesso; da un lato il film appare come una esclusiva forma di transizione che porta Wes Anderson dalla celebre rappresentazione di I Tenenbaum a un altro grande prodotto cinematografico, Il treno per il Darjeeling. In secondo luogo, il film in questione appare piuttosto fiacco sotto diversi aspetti. Ciò potrebbe essere dettato dalla realizzazione di una sceneggiatura che non è stata scritta da Wes Anderson, a differenza dalla maggior parte dei film che sono stati non soltanto diretti ma anche scritti da parte del regista statunitense. La sceneggiatura del film è stata affidata, infatti, a Noah Baumbach, che ha poi collaborato successivamente con Wes Anderson anche per quel che concerne Fantastic Mr. Fox.

A differenza del secondo, di cui si parlerà successivamente, però, Le avventure acquatiche di Steve Zissou non riesce ad essere Incredibilmente pregnante, soprattutto per quel che concerne gli elementi caratteristici della filmografia di Wes Anderson. Nonostante l’interpretazione da protagonista di Bill Murray, che farebbe pensare ad un film che contenga tutto dell’animo del regista statunitense, c’è da dire che il film si perde molto tra artifici retorici ed elucubrazioni; quando queste ultime non riescono a trovare un’esatta collocazione all’interno della pellicola, ovviamente, il risultato risulta essere particolarmente alienante e lontano dalla realtà di cui potrebbe beneficiare uno spettatore. Per certi versi, a dirla tutta, la pellicola appare addirittura noiosa, benché molti – tra critici e addetti ai lavori – abbiano apprezzato il grande lavoro tecnico di Wes Anderson, che risulta essere sicuramente presente all’interno di una realizzazione che evade dagli schemi convenzionali del regista statunitense

Il treno per il Darjeeling

Il road movie trova grande colore, oltre che un’espressione sicuramente notevole, all’interno del secondo grande successo di Wes Anderson. Dopo aver raggiunto una maturità artistica con I Tenenbaum, infatti, il regista ha realizzato un film che – per certi versi – risulta essere ancora manchevole di qualcosa e, per questo motivo, lontano dalle prime posizioni in classifica. Non si può certo dire che Il treno per il Darjeeling sia un film brutto, dal momento che si compirebbe un torto nei confronti del regista statunitense: ovviamente, nella necessità di collocare gerarchicamente i prodotti del regista, gli si preferiscono altri prodotti, in virtù di una coerenza narrativa meno confusionaria e più esatta, oltre che più emblematica del modo di fare cinema di Wes Anderson.

E’ pur ovvio che all’interno del film il regista abbia deciso di sperimentare: si tratta di un tentativo tutt’altro che fallimentare ma che, naturalmente, lascia alcune tracce e strascichi di “non detto”, oltre che di incompiuto. Il risultato è abbastanza palese: nell’osservare il film in questione si è costantemente alla ricerca di un qualcosa che non arriverà mai e, nel suo essere, il prodotto cinematografico non riesce a offrire una soddisfazione tipica del film che ha una sua epica ciclicità. Eppure, si è sicuri del fatto che Il treno per il Darjeeling abbia una sua importanza, soprattutto per quel che concerne i lavori che saranno successivi, regalando molto soprattutto in termini visivi e attoriali (Adrien Brody, Owen Wilson e Jason Schwartzman regalano un’interpretazione sicuramente notevole); il tutto, purtroppo, immerso in un canone di confusione ancor troppo imperante.

The French Dispatch of the Liberty, Kansas Evening Sun

Per molti spettatori e addetti ai lavori, il più grande difetto di Wes Anderson è il suo cedere all’autoreferenzialità, che diventa sempre più marcato negli ultimi lavori cinematografici del regista statunitense. Questo stesso concetto potrebbe essere, da altri, rielaborato in chiavi differenti: indipendentemente da quale che sia la propria visione in tal senso, non c’è dubbio che The French Dispatch sia il film più rappresentativo di questo modo di pensare del regista che, a dire il vero, rinuncia a parte del contenuto in luogo di una perfezione stilistica e tecnica che hanno sicuramente pochi pari nella storia del cinema. Per questo motivo, si posiziona il film a metà della classifica: lontano dai fasti contenutistici e tecnici del regista ma, allo stesso tempo, ben più in avanti – sotto diversi punti di vista – rispetto ad altri lavori che avevano ancora troppi elementi fuori posto, meritevoli di collocazione più esatta o coerente.

Furbescamente, Wes Anderson risolve parte dei problemi legati al contenuto attraverso un espediente sicuramente riuscito: creare la cornice boccaccesca di un giornale, il French Dispatch, e rendere ogni nucleo narrativo autoconclusivo e, per questo, dalla portata limitata (ma condensata) all’interno della pellicola. Ne deriva un lavoro magistrale sotto diversi punti di vista: a partire dal cast, mai così tanto ricco di nomi (Benicio del Toro, Frances McDormand, Jeffrey Wright, Adrien Brody, Tilda Swinton, Timothée Chalamet, Saoirse Ronan, Léa Seydoux, Owen Wilson, Mathieu Amalric, Lyna Khoudri, Cécile de France, Bill Murray, Elisabeth Moss, Willem Dafoe, Edward Norton, Christoph Waltz e Anjelica Huston), fino all’incredibile prodigio tecnico, che interessa ogni aspetto e sequenza del prodotto cinematografico in questione. Per molti, e non è un giudizio assolutamente sbagliato, la migliore sequenza è quella in cui Benicio del Toro e Adrien Brody imperversano: all’interno della stessa il tema dell’arte si rende nudo e crudo, presentato attraverso tutte le sue sfaccettature più cruente verso lo spettatore. Da non sottovalutare, in ogni caso e nonostante l’esigua durata, anche la breve introduzione di Owen Wilson, un piccolo gioiello che sa raccontare molto del cinema wesandersoniano.

Fantastic Mr. Fox – L’isola dei cani

Al quarto posto in classifica ci sono i due film di Wes Anderson realizzati con la tecnica dello stop motion; che il regista statunitense potesse avventurarsi anche nel campo dell’animazione, ciò era assolutamente in dubbio, dal momento che la portata di molti film di Wes Anderson si presta facilmente anche al campo dell’animazione. Tuttavia, riuscire a tradurre in atto un concetto che soltanto teoricamente esiste è un qualcosa di molto difficile. Fantastic Mr. Fox e L’isola dei cani mostrano tantissimi elementi che, presi singolarmente, evidenzierebbero una certa limitazione dettata, sostanzialmente, dalla prima esperienza di un regista in un determinato campo. Tuttavia, i film riescono, attraverso una serie di elementi considerevoli e caratteristici nella filmografia dello statunitense, a comunicare molto, soprattutto per quel che concerne la rappresentazione di un ambiente sociale che altrimenti non avrebbe avuto trattazione simile.

All’interno del film, Wes Anderson si serve per la prima volta di Roald Dahl, che diventerà poi fondamentale in quanto ha riferimento nell’ambito della sua filmografia, mentre nel secondo la sperimentazione avviene per quel che concerne il soggetto, ideato proprio dal regista in collaborazione con Jason Schwartzman. Il risultato è sicuramente molto importante, per quanto manchevole di alcuni elementi caratteristici del cinema dello statunitense. Ciò che non manca sicuramente è l’insieme degli attori e degli addetti ai lavori, di cui il regista si è sempre servito nell’ambito della sua filmografia, tanto da affidare agli stessi attori – che ha sempre portato con sé all’interno dei suoi film -, il ruolo di doppiatori originali dei personaggi rappresentati, con una originale aggiunta di George Clooney (in Fantastic Mr. Fox) e Bryan Cranston (in L’isola dei cani) nelle vesti di protagonisti , che hanno sicuramente migliorato l’esperienza dei film da parte di ogni spettatore.

Grand Budapest Hotel

Sul gradino più passo del podio relativo ai migliori film di Wes Anderson non poteva non trovare collocazione Grand Budapest Hotel, il più grande successo del regista statunitense. Si tratta di un prodotto cinematografico che ha affacciato – per la prima volta – Wes Anderson al mondo degli Academy Awards e, in un certo senso, ciò non caratterizza una sorpresa: per quanto evasivo e anticonvenzionale, ogni meccanismo cinematografico può essere ripiegato entro certi standard di piacevolezza e gusto, così come dimostra il meraviglioso film condotto sulla struttura delle scatole cinesi. Tre storie, l’una contenuta nell’altra, riescono ad esprimere molto della storia umana, soprattutto per quel che concerne i linguaggi, le abitudini, i modi di fare, gli schemi narrativi e, in ultima analisi, lo stesso formato utilizzato da Wes Anderson varia in base all’epoca che vuole essere analizzata.

La pellicola trova un suo grandissimo valore nell’interpretazione di Ralph Fiennes, che tornerà a recitare all’interno di un nuovo film di Wes Anderson: l’attore sa dimostrare, in questa pellicola, che il vero talento permette di scindere la propria immagine da quella di uno dei personaggi (Voldemort) più iconici e rappresentativi nella storia del cinema. Non a caso, l’interpretazione dell’attore rappresenta il vero e proprio elemento di lustro di un film sicuramente magico, che sa comunicare forse meglio di qualsiasi altro e che trova, in ognuno dei suoi artifici retorici, un’espressione comprensibile, netta, chiara e fortemente ironica. A completare un mosaico pressoché ottimale intervengono Jude Law, Adrien Brody, Willem Dafoe e, sopra ogni altra caratteristica, la splendida colonna sonora di Alexandre Desplat.

I Tenenbaum

Se I Tenenbaum non raggiunge il primo posto in questa classifica è solo ed esclusivamente perché, facendo ricorso alla soggettività, si individua un qualcosa di ancor più caratteristico, intimo e – nel senso più positivo del termine – autoreferenziale, a proposito della filmografia di Wes Anderson. Eppure, il prodotto cinematografico in questione rappresenta un qualcosa di incredibilmente magico ed evocativo nello stile e nelle rappresentazioni cinematografiche del regista che, con questo prodotto, ha saputo conciliare elementi che non necessariamente sanno stare insieme all’interno di un film; l’espediente della famiglia distrutta, disgregata, è – in effetti – il motivo per cui Wes Anderson sa mettere insieme tanti concetti differenti: dall’alienazione dell’essere umano rispetto alla sua condizione, fino all’ossessione più minuziosa e puntigliosa di ognuno dei protagonisti rappresentati, naturalmente, per mezzo di raccordi e miniature quasi idilliche.

Ne deriva un prodotto cinematografico che mette insieme sei attori solo apparentemente inconciliabili: Ben Stiller, Owen Wilson, Luke Wilson, Gwyneth Paltrow, Gene Hackman e Anjelica Houston. Se esistesse un film in cui trarre tutti gli elementi più cari a Wes Anderson, inoltre, si farebbe certamente fatica a scegliere tra questo prodotto e il sopraccitato The French Dispatch: se, nel precedente, la lettera d’amore nei confronti del giornalismo anima il film in questione, in questo prodotto cinematografico è nei dettagli allegorici che si ritrova tutta la passione che il regista ha per la macchina da presa; ne deriva un Luke Wilson ispirato alla vita (e alla depressione) di Bjorn Borg, un cagnolino di nome Buckley che riporta alla memoria il compianto cantautore di Grace, un pacchetto di sigarette Sweet Afton, in commercio solo in Irlanda e, infine, un uomo che ricorda – nelle sue fattezze – l’ex segretario dell’ONU Kofi Annan.

Moonrise Kingdom – Una fuga d’amore

Al primo posto di questa classifica trova spazio uno dei prodotti cinematografici più rappresentativi dello stile, dell’estetica e del linguaggio cinematografico di Wes Anderson. Per quanto Moonrise Kingdom – Una fuga d’amore, non sia il film che più ha ottenuto successo nell’ambito della filmografia del regista statunitense, si tratta sicuramente di uno degli emblemi più rappresentativi del suo modo di fare, pensare e realizzare il cinema. Rispetto a tanti altri prodotti, che fanno della poetica un’espressione prettamente tecnica e inserita, di conseguenza, in termini di montaggio e di fotografia, con Moonrise Kingdom – Una fuga d’amore, si percepisce un ricorso all’immagine poetica anche all’interno della trama.

Il contenuto del film presenta, su più livelli, una forma di vita all’interno della quale la costrizione e la gabbia dell’esistenza imperversa: un matrimonio ormai fallito, un ragazzo relegato all’interno di un gruppo di scout, una ragazza che non vede comprese le sue passioni. Il fattor comune del film, dunque, risulta essere la liberazione, l’espressione più intima di se stessi attraverso la volontà di fuggire, divincolarsi dai propri schemi di vita convenzionali, evadendo e raggiungendo altro. Il cast, come da caratteristica ormai risaputa e convenzionale della filmografia di Wes Anderson, è ben fornito: da Edward Norton a Bruce Willis, passando per il sempreverde Bill Murray, fino a interessare Frances McDormand e Tilda Swinton. Nessuno degli attori, altra caratteristica ormai facilmente riconoscibile, è il reale protagonista di una pellicola che, però, smette di essere corale, dando ampio spazio alla storia dei due giovani protagonisti, che hanno largo spazio per esprimere il loro sentimento. Il senso del film, in ultima analisi, si riassume tutto nella frase che pronunciano esattamente i due ragazzi: “Voglio vivere delle avventure, non rimanere in un posto e comunque non si può predire il futuro.”

About the Author

Bruno Santini
Laureando in comunicazione e marketing, copywriter presso la Wolf Agency di Moncalieri (TO) e grande estimatore delle geometrie wesandersoniane. Amante del cinema in tutte le sue definizioni ed esperto in news di attualità, recensioni e approfondimenti.